L’autore Carlotto e il suo personaggio: un affresco dell’Italia criminale

0

LECCO – Un dialogo pirandelliano autore-personaggio che è allo stesso tempo il racconto disarmante dell’infiltrazione mafiosa nel nostro Paese. È Crime Story, lo spettacolo parte della rassegna Teatro d’Attore andato in scena nella serata di venerdì 20 febbraio al Teatro della Società di Lecco. Dopo African Requiem e L’onorevole è ancora il tema della criminalità, quindi, a essere protagonista sul prestigioso palcoscenico lecchese, questa volta con un vero esperto del genere: lo scrittore e giallista Massimo Carlotto. In una scenografia spoglia, con luci soffuse e musica dal vivo di Maurizio Camardi, che con i suoi sassofoni è riuscito a creare perfettamente un’atmosfera da film noir, lo scrittore è stato affiancato sul palco da un ottimo Titino Carrara nei panni di Toni, il pentito protagonista del romanzo che Carlotto, interpretando se stesso, intende scrivere.

Un dialogo, come detto, che molto spesso diventa però uno scontro tra l’autore-Carlotto, che vorrebbe portare la trama in una direzione, e il “suo” personaggio interpretato da Carrara, che, con interventi puntuali, riesce a ribaltare i punti di vista e talvolta porta lo spettatore a immedesimarsi addirittura con lui.

carlotto1Dati ed episodi reali vengono snocciolati sul palco da un Carlotto che vuole rendere il suo futuro romanzo una denuncia nei confronti dell’infiltrazione mafiosa in Italia. Un botta e risposta in cui lo scrittore e il suo personaggio, Toni, fanno emergere diverse problematiche, a volte note e forse un po’ scontate, altre che superano i luoghi comuni, come la spiazzante riflessione sul ruolo dei collaboratori di giustizia. Ma chi sono, veramente, i mafiosi e i pentiti e in cosa credono?, viene quindi da domandarsi. È così che lo spettacolo arriva a riflettere sul ruolo di famiglia e religione, valori ancora fondamentali per chi vuole appartenere all’Onorata Società ma insieme causa della rovina di Toni, spesso invischiato in “disonorevoli” relazioni con transessuali.

Una mafia che, seguendo le riflessioni di Carlotto, è ormai arrivata in ogni ganglio della società italiana con le sue ramificazioni nella politica e nella gestione dei rifiuti, sfruttando, molto spesso, la connivenza di insospettabili colletti bianchi. Una criminalità che sembra essere sempre più accettata anche dagli italiani e dal loro “sentire comune”, perfettamente interpretato dalle obbiezioni di Toni: è il pentito, infatti, a mettere in luce come le persone siano più interessate alla storie di «eroi, sbirri o magistrati», piuttosto che a racconti di individui come lui. Ma è proprio parlando dei criminali che, secondo il giallista, si possono invece denunciare meglio le mafie: raccontando la vita di personaggi come quello del suo pentito si può, infatti, cercare di generare un cambiamento nel nostro Paese.

Una convinzione che nel corso del dialogo si fa, però, sempre più incerta, traballante, fino a un quesito cruciale. Non sarebbe forse più comodo, questa la domanda che si pone sul finale lo stesso Carlotto, accettare la proposta di scrivere un giallo ambientato nella cucina di un ristorante, magari infarcendo il libro di alcune ricette per un successo assicurato?

carlottoCrime Story è quindi uno spettacolo che stimola il pubblico, che fa riflettere ma che non suggerisce soluzioni: pone interrogativi utilizzando la modalità del confronto/scontro tra Carlotto e Toni, reso a tratti incalzante dall’esperta regia di Giorgio Gallione, come sempre a suo agio nel rapportarsi alla letteratura e agli scrittori.

Un buon modo, insomma, per tenere alta la guardia sul rapporto potere-criminalità organizzata, quest’ultima penetrata in gran parte del nostro Paese, soprattutto nelle regioni più ricche e produttive. Una situazione tutt’altro che sorprendente per chi già nei primi anni Sessanta aveva occhi per guardare, come lo Sciascia de Il giorno della civetta: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia … A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare ogni anno… La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma…».

Share.

L'autore di questo articolo

Daniele Frisco

È il flâneur numero uno, ideatore e cofondatore del giornale. Seduto ai tavolini di un qualche bar parigino, lo immaginiamo immerso nei suoi amati libri, che colleziona senza sosta e che non sa più dove mettere. Appassionato di Storia e, in particolare, di Storia culturale, è un inarrestabile studente (!): tutto è per lui materia da conoscere e approfondire. Laurea? Quale se non Storia del mondo contemporaneo?! Tesi? Un malloppo sul multiculturalismo di Sarajevo nella letteratura, che gli è valso la lode. Travolto da un vortice di lavori – giornalista, insegnante di Storia, consulente storico e istruttore del Basket Lecco – tra una corsa di qua e una di là ama perdersi nel folk-rock americano, nei film di Martin Scorsese e di Woody Allen, nella letteratura mitteleuropea e, da perfetto flâneur, nelle strade della cara e vecchia Europa. Per contattarlo: daniele.frisco@ilflaneur.com