RADIO FLÂNEUR – “Maader Folk” di Van de Sfroos. Ritorno in grande stile per il cantautore laghée, tra radici folk e nuove storie di paese

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Sette anni di silenzio discografico, in tempi di mordi e fuggi come questi, sono un’eternità e rischiano di spegnere i riflettori sulla carriera di qualsiasi artista; eppure Davide Bernasconi, in arte Van de Sfroos, si è preso tutto il tempo necessario prima di pubblicare Maader Folk, l’ultimo attesissimo album d’inediti, pubblicato solo nell’autunno 2021 dopo svariati rimandi. È vero che nel mezzo ci son stati un disco di rilettura dei suoi classici in versione sinfonica (Synfuniia, 2015), un ottimo doppio live acustico (Quanti nocc, 2019) e la ristampa dello storico disco d’esordio in occasione dei 25 anni dalla prima e ormai introvabile edizione (Manicomii, 2020), ma un disco intero d’inediti mancava dai tempi di Goga e Magoga (2014).

Il nuovo capitolo discografico del cantautore comasco, intitolato significativamente Maader Folk, è un album pienamente riuscito con ben quindici canzoni inedite, nel quale Van de Sfroos mette a punto tutta la sua esperienza di songwriter acquisita negli anni e ritorna letteralmente a casa, in una dimensione folk-blues a lui particolarmente congeniale e con una sfilza di nuovi personaggi e storie ambientate in riva al lago, ma che profumano di spazi e luoghi più lontani, come se da quel lembo di terra e d’acqua dolce si fossero alzate e andate in giro per il mondo, prima di tornare sulle rive lariane. Storie di radici, di lavoratori e antichi mestieri, come nel caso del primo singolo Gli spaesati, ma anche di valori più universali e preghiere di rinascita con venature soul-blues, cantati con Zucchero nel secondo estratto Oh Lord, vaarda gio. Anticipato da questi due brani, il nuovo lavoro di Davide Van De Sfroos si è poi rivelato per quello che è già dal primo ascolto, confermando un’altissima qualità anche per tutti gli altri brani in scaletta: Maader Folk è un gran disco d’autore, di quella canzone d’autore che si pregia della facoltà di raccontare piccole storie che confluiscono nella Storia più ampia, storie che parlano di tempi e mestieri di una volta, di tradizioni da tramandare nella memoria collettiva e che servono per accendere ancora una volta la luce su quello che siamo stati così da capire quello che vogliamo essere, una sorta di prontuario del nostro passato in vista di un futuro che si spera essere migliore di questo inquieto presente.

Maader Folk si apre con tutta l’energia di Fiaada, un brano dalle tinte quasi country-western e un testo che parla di questi tempi, invitando a cavalcare nuovamente la vita con tutta la grinta, la forza e lo spirito necessari. Ottima anche la successiva Nel nomm, mentre dopo due brani veloci si rallenta con Goccia di onda, prima ballata arrangiata con tanto di percussioni e conchiglie da parte di Taketo Gohara e ispirata dal lago e dalle sue acque, da sempre ricche di suggestioni che Van de Sfroos sa cogliere alla perfezione. Con L’isola si giunge a uno dei vertici assoluti dell’intero disco: ambientata sulla famosa Isola Comacina, la canzone è un piccolo capolavoro per arrangiamento e stile narrativo, quasi un film nel quale la memoria del protagonista che corre indietro nel tempo, accavallandosi fra la grande Storia, il ricordo di un professore al quale voleva assomigliare e l’amore provato per la figlia di quest’ultimo quando ogni estate arrivava sull’isola. Primo singolo e apripista di tutto il lavoro, Gli spaesati è invece un’istantanea perfetta sugli ultimi ostinati e irriducibili abitanti dei piccoli paesi, un omaggio verso chi non abbandona i luoghi d’origine nonostante il progresso e la modernità che incombono, gente piantata nella propria terra che continua a praticare antichi mestieri manuali che si tramandano di generazione in generazione, come rituali che non si vogliono interrompere; potrebbe essere un racconto di Mauro Corona – citato non a caso e vedremo più avanti perché – ma in ogni caso è un’ottima canzone, di indole folk e tutta da ascoltare e cantare.

In contrapposizione a tutti gli spaesati che resistono nei loro paesi, ci sono quelli che hanno deciso di andare via per lavoro e non tornare più: uno di questi è El vagabuund, uno che ha fatto del viaggio la sua ragione di vita, andando incontro al suo destino di eterno girovagare. Luci e ombre osservate durante una passeggiata al crepuscolo dal cantautore laghée sono alla base del testo di Guanto bianco, un altro lento del disco che non sfigura affatto nell’economia del disco. Agata invece si aggiunge ai numerosi ritratti di donne già incisi in passato da Van De Sfroos (Nona Lucia, Dona Luseerta, Maria, Ciamel amur, La figlia del tenente e Infermiera), inserendosi però di diritto fra quelli meglio riusciti per scrittura ed emozionalità; ispirata con buona probabilità alla protagonista del romanzo Fiore di roccia di Ilaria Tuta, racconta la vita di una donna che faceva la portatrice per le truppe italiane asserragliate in trincea lungo il fronte della Carnia durante la Grande Guerra. Un altro picco altissimo di Maader Folk si raggiunge con Il mitico Thor, dove la figura mitologica scandinava si sovrappone a quella di chi fa il muratore per professione, descrivendone i gesti, gli attrezzi e i comportamenti; un altro tributo a chi pratica un mestiere antico che nella canzone diventa quasi mitico e leggendario. Si prosegue sulla scia dei capolavori con Stella bugiarda, un brano che cambia più volte ritmo a seconda del viaggio del protagonista e che racconta di chi dal paese sulle rive del lago ha provato ad andar via, dirigendosi verso la mitica Brianza per i primi concerti, salvo poi tornare sui propri passi quando si è accorto che tutte quelle fascinazioni erano solo stelle bugiarde e che le cose davvero importanti erano tutte legate ai luoghi d’origine e di appartenenza (dalla Val Codera a Livigno passando per la Valsassina e il Lago Palù). Di radici e legami fra generazioni parla invece Hemm imparaa, un vero colpo al cuore in chiave country-acustica che sembra ribaltare i ruoli dei protagonisti della celebre Il vecchio e il bambino di Guccini; laddove nel brano del cantautore emiliano il vecchio descriveva al bambino un mondo che ormai non c’era più a causa della distruzione nucleare, nel brano di Van de Sfroos è il nipote a raccontare al nonno del cambiamento del mondo agreste a cui erano abituati e del decadimento in atto davanti ai loro occhi, con i campi che diventeranno la sede di nuovi supermercati.

Photo @ Matteo Manente

Secondo singolo e unica collaborazione di tutto il disco, Oh Lord, vaarda gio segna il duetto fra Van de Sfroos e Zucchero Sugar Fornaciari, al quale si aggiunge la performance da attore nel relativo videoclip del già citato Mauro Corona. La canzone è una preghiera in stile soul-blues urlata da un uomo smarrito che nel marasma e nell’incertezza dei tempi che viviamo chiede protezione e un aiuto al Signore affinché gli indichi quale strada percorrere nel cammino della vita; un brano emozionante, che fonde alla perfezione il dialetto emiliano con quello laghée e che celebra il connubio riuscito fra tre persone (Van de Sfroos, Zucchero e Corona) legate ciascuna in maniera diversa alle proprie radici, siano esse montane, lacustri o di pianura. Ancora memoria e ricordi di un tempo passato fanno capolino in Reverse, ballata malinconica e nostalgica per un’età spensierata e innocente nella quale il domani sembrava veramente a portata di mano, fra discoteche, bevute e grandi o piccole conquiste amorose. Dal lago al Sud Italia è un attimo e Tramonto a Sud è la testimonianza di uno dei tanti viaggi del musicista comasco attraverso i luoghi più incantevoli del Mezzogiorno, osservati e immortalati alle ultime luci del giorno. Dal Sud si torna al Nord, nella propria valle, per concludere il disco con La vall (Il vento e i fiammiferi), classico brano intimista caratterizzato da un’attenta simbologia di elementi naturali – le foglie, il vento, il fiume, il bosco – che suggella la continuità con le proprie radici e che spesso e volentieri conclude gli album di Van de Sfroos (da Breva e Tivàn a Ventanas passando per Il dono del vento, Rosa del vento o Il prigioniero e la tramontana).

Maader Folk segna il ritorno a casa di Davide Van de Sfroos, grazie a un recupero di quelle radici folk con le quali è salpato parecchi decenni fa e alle quali, dopo svariate peripezie più o meno distanti dalle rive del lago, ha fatto inevitabilmente ritorno. Nuove storie trasformate in altrettante canzoni che hanno ancora il sapore dolce dell’acqua lacustre e che parlano di valori e di passato, di ricordi adolescenziali e antichi mestieri, di gente che resiste allo scorrere degli anni e di una natura che riesce a stupire ogni volta, di forza femminile e altri viaggi d’ogni sorta: ogni canzone del disco ha un proprio protagonista che ha qualcosa da raccontare, il tutto sempre avvolto sotto la protezione della grande Madre Folk!

Matteo Manente

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