Radio Flâneur: “Acrobati” di Daniele Silvestri. Un nuovo viaggio acrobatico nell’universo musicale e poetico del cantautore romano

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Terminata la felice quanto eccezionale collaborazione al progetto del trio Fabi-Silvestri-Gazzè – Il padrone della festa – e a cinque anni dall’ultimo album di inediti – S.C.O.T.C.H.Daniele Silvestri torna sul mercato discografico con Acrobati, un viaggio per l’appunto acrobatico tra canzoni, suggestioni e parole – tante e come sempre usate con intelligenza e ironia – degne della sua miglior poetica. Un disco lungo e denso di racconti, che raccoglie ben 18 brani frutto di un processo creativo irrefrenabile, fluido e ricco di idee, 18 brani tutti da scoprire, scomporre, analizzare attentamente uno per uno, disintegrare e poi riassemblare per un gioco acrobatico che proprio nella sua eterogeneità trova il suo punto d’equilibrio complessivo, tra tinte musicali assai differenti fra loro e pregiatissimi voli pindarici a livello lessicale.

acrobati silvestriFatta eccezione per il singolo apripista Quali alibi e qualche altro singolo episodio, in questo disco non c’è traccia del Silvestri più impegnato e attento ai temi politici e sociali: l’album, infatti, è un concentrato di piccoli bozzetti di vita quotidiana, microcosmi personali popolati da personaggi e situazioni in cui tanti possono riconoscersi, microcosmi accomunati da una sola e semplice idea di base: visti dall’oblò di un aereo in volo, siamo tutti acrobati intenti a camminare sul filo degli eventi che ci accadono giorno dopo giorno, momento dopo momento, attimo dopo attimo. Certo, in questo vissuto tratteggiato tramite le canzoni si incontrano anche governi non eletti, elettori non votanti e altri agganci con l’attualità più scottante, ma in generale Acrobati è forse il disco di Silvestri nel quale il microcosmo personale ha la meglio rispetto all’impegno collettivo.

A un primo ascolto, ci sono alcuni brani che inevitabilmente prendono subito e altri che necessitano di più passaggi; tra quelli più interessanti spicca l’iniziale La mia casa, un viaggio non solo geografico tra alcune delle capitali più importanti – Lisbona, Marrakech, Berlino, Londra, Parigi, Istanbul – che si conclude con una dichiarazione d’amore dell’autore per la Città eterna, quella Roma dove è nato e cresciuto. Meritevole e pieno di energia il singolo Quali alibi, che non lascia spazio a errate interpretazioni: “Mi era sembrato di notare un fatto poco chiaro / come una specie di governo ma di terza mano  / come un programma mai approvato che però seguiamo / e neanche posso non votare perché non votiamo…”. Anche la titletrack Acrobati è un distillato di poesia e riassume in pieno lo spirito che caratterizza tutto il lavoro: il mondo visto dall’oblò di un aereo sembra bello e organizzato alla perfezione soltanto perché possiamo osservarlo a una certa distanza di sicurezza, come se il distacco e una prospettiva lontana facessero apparire tutto migliore di quel che è realmente; per questo bisognerebbe poter sfidare la gravità restando in alto come due acrobati: “Se continui ad aggrapparti rischiamo di cadere / di cadere oppure fingere un’altra acrobazia / questione di equilibrio / e l’equilibrio è una filosofia / Dovremmo resistere  / dovremmo insistere / e starcene ancora su / se fosse possibile / toccando le nuvole / o vivere altissimi  come due acrobati / sospesi… ”.

Altro colpo da maestro – e forse uno degli apici totali del disco – è La guerra del sale, scritta e cantata insieme a Caparezza: un brano fenomenale per le infinite trovate letterarie escogitate a partire dalla parola “sale”, interpretata, vivisezionata e descritta in ogni sua accezione possibile da due dei migliori giocolieri italiani della parola adoperata in forma canzone. Questo è solo l’inizio del brano, ma tutto il testo è un capolavoro continuo, con tanto di autocitazione da cogliere verso la fine: “Sale chi è eletto / chi viene eletto, sale / vorrei di sale un etto / e un’altra legge elettorale  / vedo  / sale da concerto / piene di persone / sole / se ci sono le parole allora /usale…”.  

silvestriDi grande livello anche Un altro bicchiere – che sul finale cantato in inglese si avvale della collaborazione  Roberto Dell’Era degli Afterhours – e La mia routine, un ritratto impietoso delle contraddizioni e dei vizi dell’uomo contemporaneo: “Io sto bene con la mia routine / lascio a te la tua rivoluzione / a me interessa solo non dimenticare il pin  / perché ho tutto sul mio terminale / posso andare dove voglio con un solo click / rimanendo qui / senza muovermi…”. Così vicina è invece un piccolo gioiello minimalista che racconta in poche frasi tutte le sfumature di una storia d’amore, mentre di grande impatto risulta essere Monolocale, un brano dall’andamento cinematografico che alterna parlati e recitati in un monologo dalle mille sorprese. A completare l’ora e un quarto di musica che compone il nuovo disco di Daniele Silvestri, ci sono anche Pochi giorni, La verità, Pensieri, A dispetto dei pronostici, Come se, L’orologio, Bio-boogie, Tuttosport, Spengo la luce e la conclusiva Alla fine, che non a caso termina con gli stessi versi che chiudono la canzone Acrobati: “Dall’alto c’è sempre qualcuno che guarda, guarda…”.  

In definitiva, Acrobati è un concentrato di tantissime cose diverse fra loro: innanzitutto ci sono le diciotto canzoni, alcune veramente geniali e ben riuscite (su tutte La guerra del sale, La mia casa, Acrobati e Quali alibi), altre che inevitabilmente nel mucchio appaiono meno convincenti; ci sono le molteplici tematiche, private e pubbliche, che si rincorrono e si intrecciano alla perfezione, in un’acrobatica gara d’equilibrio; infine c’è, e si avverte in maniera evidente ed innegabile, il grande flusso creativo che ha portato alla stesura e all’incisione di quest’album, una libertà d’azione che ha permesso a Silvestri e ai suoi musicisti di spaziare verso ogni direzione musicale, dando libero sfogo alla fantasia e alle sperimentazioni: una libertà d’azione che molti critici hanno paragonato a quella che vent’anni fa diede vita a Il dado. Chissà che a distanza di due decenni questo disco non sia ancora una volta una nuova ripartenza verso altri lidi musicali, lessicali ed emozionali… in fondo è solo questione d’equilibrio e l’equilibrio è una filosofia”. 

Matteo Manente

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