RADIO FLÂNEUR – “Cip!” di Brunori Sas.
Le nuove “canzoni di buona volontà” del cantautore calabrese

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Sulla copertina bianca si staglia il dipinto di un pettirosso, che di primo acchito può far pensare al ben più famoso “pettirosso da combattimento” di De André ne La domenica delle salme. E a pensarci bene non è affatto un caso che il contenuto del nuovo album di Brunori SAS, intitolato Cip! e pubblicato a inizio 2020, possa aver portato fin dai primi ascolti verso associazioni così altisonanti e quasi ingombranti. Eppure quello stesso “pettirosso da combattimento” può essere un ottimo alleato quando si ha a che fare con l’arduo e difficilissimo compito di dar seguito a quel capolavoro che tre anni prima è stato A casa tutto bene, vincitore di vari riconoscimenti e a tutti gli effetti un punto di riferimento col quale lo stesso artista sapeva di dover fare i conti nel momento in cui avrebbe steso le nuove canzoni. Dario Brunori ha impostato quindi il nuovo album nell’unico modo possibile, posando ancora una volta la sua lente d’ingrandimento su microstorie che lo circondano unite ad alcuni aspetti più generali della vita quotidiana – come politica, famiglia, affetti, amore, vita e morte – cercando a differenza dei lavori precedenti di volare più alto, “di scrivere in modo più poetico e meno prosaico, prediligendo argomenti di ordine etico e filosofico” come ha affermato lo stesso cantautore calabrese.

Obiettivo di Brunori in questo nuovo lavoro era quello di non parlare “in modo diretto di stretta attualità o di argomenti sociali, se non collocando le vicende umane all’interno di un contesto più ampio, quasi a volerne ridimensionare l’importanza rispetto all’insieme in cui sono calate”. L’autore ha precisato che avrebbe voluto cercare “di descrivere un sentire più che un pensare, con particolare attenzione al canto, al suono della voce, al come più che al cosa, optando per una forma canzone che prediligesse la cantabilità, il ritmo, gli arrangiamenti sostenuti e ricchi di vitalità. Sarei passato dal parlare di paura al parlare d’amore: canzoni d’amore dunque, nelle sue diverse declinazioni, da quello di coppia, a quello familiare, sino all’amore ideale, forse utopistico. Canzoni di buona volontà, di tenerezza, ma anche di difficoltà, di pazienza, di denti stretti per tenere in piedi le cose. Della fatica, in fin dei conti, di essere “buoni” senza sentirsi al contempo dei coglioni”.

Se queste erano le premesse, dopo aver ascoltato le undici tracce che compongono Cip! si può dire che Brunori abbia centrato pienamente e vinto un’altra volta la sua scommessa: il risultato è infatti un disco di canzoni corali, stilisticamente e smaccatamente pop nel senso migliore del termine, scritte però con quel guizzo da cantautore che da sempre contraddistingue il suo stile. Questa volta c’è meno Rino Gaetano e più Lucio Battisti, così come Lucio Dalla sembra essere il faro da seguire nella costruzione degli arrangiamenti, ricercati ma che sanno arrivare sempre dritti al punto. Un lavoro di ricerca e semplificazione per nulla semplice, che difficilmente riesce ai cantautori più prolissi, specie nella costruzione di canzoni da tre minuti; in questo senso Brunori, ballando sempre in bilico tra spensieratezza che non scade in banalità, tra una profondità mai troppo accademica o saccente e una malinconia di fondo che è il suo marchio di fabbrica da sempre, risulta essere uno degli autori migliori della nuova scena italiana: non a caso, Cip! è risultato il vincitore della Targa Tenco come miglior disco di cantautorato del 2020.

Il disco si apre a bruciapelo con l’ottima Il mondo si divide, che presenta un testo che non lascia molti spazi d’interpretazione con le sue immagini e le sue volute contrapposizioni: “Il mondo si divide fra chi pensa che i violenti debbano essere trattati con violenza / e chi pensa che con la violenza invece non si ottenga nient’altro che violenza…”. Per Brunori il concetto di fondo è che è inutile fare divisioni fra buoni e cattivi, tra violenti e non violenti, fra falliti o altre categorie di persone, poiché “dividere le cose è un gioco della mente, il mondo si divide inutilmente”.

La successiva Capita così vive di una leggerezza musicale che però cela un testo tutt’altro che superficiale, che riflette su quante volte la vita ci metta di fronte a situazioni ben poco prevedibili o evitabili, come la morte e la vecchiaia: “Capita così, che un bel giorno ti guardi allo specchio e ti trovi più vecchio di parecchio / Capita così, che ti affidi all’ennesima dieta, a un cantante che sembra un profeta, che ti dice che bella è la vita, anche se capita così / anche quando tuo padre scompare senza neanche avvisare / e senza fare rumore, senza darti un minuto per potergli dire che gli hai voluto bene e che ti manca da morire / anche se ormai sei grande e se sembri un gigante…”. Coinvolgente e di facile presa il ritornello, che scarica tutta la tensione accumulata nelle strofe in un motivo che rimane in testa al primo ascolto: “Ma ti senti piccolo, minuscolo / ti senti ridicolo, sei ridicolo / quando pensi che sei uno su sette miliardi / e che tanto comunque oramai è troppo tardi…”.

Il tema degli affetti, dei rapporti familiari e del prendersi cura a vicenda è affrontato in Mio fratello Alessandro, che si apre con un’intro pianistica che sa di Battisti lontano kilometri: “Ma visto che un po’ del mio sangue adesso è anche in te / mi prenderò cura di noi per curarmi di me… / Però tu dormi, adesso dormi, ti prego dormi / perché gli uomini smettono di essere buoni / solo quando si sentono soli / quando perdono di vista la luce che sta in tutte le cose…”.

La leggerezza musicale che pervade Anche senza di noi non deve distogliere dalla profondità di un testo secondo il quale dobbiamo renderci conto che per quanto possiamo decidere di prendere o non prendere una determinata scelta, pensare in un modo o nel suo opposto, il mondo scorrerà ugualmente senza di noi e il nostro punto di vista: “Possiamo strappare i giorni dal muro sperando che arrivi più in fretta il futuro / possiamo pensare che il meglio è passato o illuderci che non sia ancora arrivato / possiamo sognare un uomo più forte, che vinca il destino, che uccida la morte / oppure possiamo accettare il dolore / che la vita è vita soltanto se muore / e tutto sembra essere bellissimo / e sembra non dover finire mai… / e invece il mondo girerà anche senza di noi…”

L’onda lunga dell’ottima Canzone contro la paura contenuta nel disco precedente si fa sentire anche in La canzone che hai scritto tu, dove Brunori riflette ancora una volta sul ruolo dell’artista e dello scrittore di canzoni: “Volevo scrivere una canzone popolare, di quelle che non si scrivono più / col ritornello che sa di Natale e la neve che scende giù… / Però ti devi accontentare amore mio / io non so fare davvero di più / e se somiglia a qualche vecchia canzone / diciamo a tutti che l’hai scritta tu…”.

dal video di “Al di là dell’amore”

Si torna all’impegno sociale e alla stretta attualità con Al di là dell’amore, primo estratto dell’album nel quale si intende la politica come l’arte di vivere nella polis o comunità, contrapposta a quella sbandierata da certi cialtroni di casa nostra che si definiscono politici: “Questi parlano come mangiano e infatti mangiano molto male / sono convinti che basti un tutorial per costruire un’astronave / e fanno finta di non vedere, e fanno finta di non sapere / che si tratta di uomini, di donne e di uomini…”, concetto ribadito nella seconda strofa quando Brunori canta che “Questi vogliono solo urlare / alzare le casse e fare rumore / fuori dal torto e dalla ragione / branco di cani senza padrone…”. L’autore è comunque convinto che andrà tutto bene, ma solo nel momento in cui si cercherà di vedere le cose da una nuova prospettiva, ascoltando i sentimenti e le voci degli ultimi che vengono dal mare: “Ma vedrai che andrà bene, andrà tutto bene / tu devi solo metterti a camminare / raggiungere la cima di montagne nuove / e vedrai che andrà bene, andrà tutto bene / tu devi solo smetterla di gridare / e raccontare il mondo con parole nuove / supplicando chi viene dal mare / di tracciare di nuovo il confine fra il bene ed il male…”.

In un mondo che necessita di un cambio di passo non poteva mancare una canzone come Bello appare il mondo, che indaga proprio il rapporto con gli altri e con sé stessi, analizzato nella contrapposizione tra il mondo puro e innocente dei bambini e quello ormai disincantato e incasinato degli adulti: “Bello appare il mondo agli occhi di Francesco / coi baci della nonna e il panino fresco / bello appare il mondo agli occhi di Lorenzo / che con il suo teletrasporto gira tutto l’universo / Bello dovrebbe apparire il mondo anche a te / che invece sei sempre nervoso, chissà poi perché…”.

Benedetto sei tu è il secondo episodio apertamente impegnato del disco, con temi che questa volta più che alla politica puntano alla spiritualità, a una religiosità laica che ha come fine ultimo quello di porre al centro di tutto l’uomo: “Sia benedetto il signore Gesù Cristo, che se fosse nato oggi non lo avremmo neanche visto / perso nel Mediterraneo su una barca in mezzo al mare / a portare un po’ di fiori sulla tomba di suo padre / Sia benedetto anche il povero Maometto / diventato suo malgrado il complice perfetto / per un gruppo di bambini disillusi ed affamati / che reclamano attenzione vestiti da soldati… / Sia benedetta l’energia delle persone che si abbracciano lo stesso anche senza religione / quelli che lo sanno ancora cosa è bene e cosa è male / senza che ci sia un padrone a doverglielo spiegare…”. Quanto alla componente musicale, soprattutto il ritornello sembra strizzare più di un occhio ai Baustelle: “Prendimi la mano e andiamo verso un mondo più lontano / dove troveremo l’uomo, dove troveremo il modo per respirare un po’ e ritornare umani…”.

Dopo un pezzo tanto impegnato serve maggiore dolcezza, quindi ecco servita Per due che come noi, una ballata in pieno stile Battisti nella quale si celebra l’amore delle coppie che resistono al passare del tempo e degli anni: “Ma non confondere l’amore e l’innamoramento, che oramai non è più tempo / e senza perdere il senso dell’orientamento quando fuori tira vento / per due che come noi non si son persi mai / e che se guardi indietro non ci crederai / perché ci vuole passione dopo vent’anni a dirsi ancora di sì / e stai tranquilla sono sempre qui / a stringerti la mano, ti amo, andiamo…”.

Fuori dal mondo è il classico brano ritmato a cui ci ha ormai abituato l’autore calabrese, che con andature quasi sudamericane racconta tramite un testo tutt’altro che banale la spensieratezza di chi vive felice senza farsi troppi problemi: “Noi che mangiamo sempre senza l’olio di palma / e che apprezziamo molto la virtù della calma / noi che mica badiamo solamente al look / e ci curiamo il cuore con i fiori di Bach / noi figli dei fiori con gli occhi a colori… / Noi siamo fuori dal mondo, fuori dal mondo, noi / fuori dal mondo che ci gira intorno…”.

La chiusura di Cip!, quasi sussurrata come si conviene a un disco di questo tenore, è affidata a Quelli che arriveranno, una ballata influenza sia nella musica che nel cantato da artisti come Dalla o De Gregori; Brunori ha scritto il brano pensando al “fanciullino” di pascoliana memoria che alberga ancora in lui, o più in generale a coloro che devono ancora crescere e possono quindi vedere il mondo con uno sguardo libero da sovrastrutture: “Quelli che arriveranno chissà come saranno / e se avranno le stesse mie mani / se saranno più alieni o più umani /  e se avranno le solite gambe, le solite braccia, le solite facce / ma chiuso nel petto magari un cuore più grande…”.

Nel marasma comunicativo dei giorni nostri, tra social network dove ciascuno tende a dare la propria opinione spesso non richiesta su qualsivoglia argomento, Cip! è un disco che cerca di essere una voce fuori dal coro, al contempo delicata come il “cip” del pettirosso della copertina, ma pure ferma e risoluta nelle sue argomentazioni, con tanto di punto esclamativo finale: e Dario Brunori in questo ruolo è uno dei migliori artisti in circolazione… ma ditelo sottovoce, altrimenti il pettirosso vola via… cip!

Matteo Manente

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