Essere europei in un’Europa più scettica

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Si parla di Renzi, che ha raggiunto un risultato oltre le più rosee aspettative, con più del 40 % di voti. Si parla di Grillo, che è andato peggio del previsto. E poi ancora di Forza Italia, in calo, di Alfano, che supera la soglia del 4% per un soffio così come la lista l’Altra Europa con Tsipras, e di Scelta Civica, al governo ma praticamente sparita nei numeri. Dati carichi di significato, che molto probabilmente cambieranno gli equilibri della politica italiana e che per giorni domineranno i nostri giornali e i talk televisivi.

Ieri, però, non siamo andati a votare per le politiche italiane. Ieri, come anche nei giorni precedenti in altri paesi europei, siamo andati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento di Strasburgo. Un fatto importante, soprattutto per chi, come noi, crede nell’Europa, in quello che rappresenta, nei passi in avanti che ha indiscutibilmente compiuto negli ultimi sessant’anni e poco più. Lasciamo da parte, per un attimo, la lente di ingrandimento puntata, legittimamente, sulla nostra penisola e ragioniamo sull’Europa, esattamente come le elezioni appena concluse ci impongono di fare.

Gli euroscettici crescono e lo fanno con numeri da non sottovalutare. Numeri che vengono da paesi che, come la Francia, nell’Europa hanno creduto sin dall’inizio e ne hanno forgiato il volto. Il sogno europeo era, infatti, Jean Monnet, ma anche Robert Schuman, francesi che insieme a italiani come Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi o al tedesco Konrad Adenauer hanno gettato le basi per quella che presto sarebbe diventata l’Unione Europea. Ci credevano, loro, mentre oggi, proprio dalla Francia, arriva la preannunciata doccia fredda, il trionfo dell’euroscetticismo. Vola al 25 %, infatti, il Front National di Marine Le Pen, confermandosi, di fatto, come primo partito francese. Vola, e stando ai dati attuali ancora di più, anche la formazione antieuropeista di Nigel Farage, primo partito in Gran Bretagna. Numeri sorprendenti, a cui si aggiungono i revival nazionalistici che, in molte zone dell’Unione, non smettono di avere consensi, dall’estremismo xenofobo del secondo partito ungherese, Jobbik, alla destra populista e nazionalista austriaca, intorno al 20 %, senza dimenticare il 9 % della greca Alba Dorata.

bandiera europeaI dati, oggi, parlano chiaro: qualcosa in Europa non ha funzionato. Che sia stato l’eccessivo rigore degli ultimi anni, la crisi economica e il senso di insoddisfazione che ne è scaturito, la mancanza di una vera politica unitaria o il dilagare del populismo, a cui non fa da contrappeso una determinata promozione dell’idea d’Europa, fatto sta che il sogno europeo deve fare i conti con un messaggio forte e chiaro: qualcosa deve cambiare, altrimenti si rischia di cadere in spirali troppo nazionaliste e poco comunitarie. Cento anni fa scoppiava la prima delle due guerre mondiali: un secolo fa l’Europa dava il via alla Grande Guerra. Lì, come anche nel ’39, il nazionalismo ha portato i paesi del Vecchio Continente al fronte, l’uno contro l’altro. Fratelli nella grande cultura europea, quella dei musicisti, dei filosofi, degli scrittori, degli artisti che in tutto il continente parlavano la stessa lingua: eccoli lì, in trincea, a battersi ciascuno per la propria, “piccola”, patria.

Incredibile pensare come, grazie all’Unione Europea, le cose siano cambiate: noi giovani, abituati agli scambi culturali sin dalle scuole, a studiare o lavorare in altri paesi membri, a parlare almeno due lingue dell’Unione, sappiamo cosa vuol dire essere europei. L’abbiamo capito, tutti, quando abbiamo passeggiato per una qualsia città europea e ci siamo sentiti a casa, quando ci siamo formati studiando un filosofo sui banchi di scuola, quando abbiamo incontrato un europeo da un’altra parte del mondo e, chissà bene perché, ci siamo intesi subito, come fossimo dello stesso paese. Certo, gli italiani e gli spagnoli sono più amichevoli e festaioli, i tedeschi sono forse più rigorosi e sempre puntuali, i nordici hanno una cultura del sociale da invidiare, i francesi sono orgogliosi di essere tali, e così via, con una serie di caratteristiche, a volte stereotipate, che comunque un po’ ci descrivono. Ma, in fondo, al di là delle distinzioni, siamo tutti europei,uniti – come giustamente recita lo slogan dell’Unione – nella diversità”.

Il nuovo Parlamento europeo, quello appena uscito dalle urne e ancora una volta composto in maggioranza da Popolari (212) e Socialisti (187), dovrà far fronte allo scetticismo dilagante, dovrà saper comunicare con i cittadini d’Europa, dare risposte, fare riforme e, soprattutto, rafforzare e attualizzare il sogno europeo, quello dei nostri padri fondatori, così da riuscire a convincere gli scettici. Un’impresa non semplice, ma è l’unica direzione verso cui andare. Per non tornare indietro.

Valentina Sala

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L'autore di questo articolo

Valentina Sala

È la “flâneuse” che non smette mai di flaneggiare (?): in continuo vagabondaggio tra luoghi (certo) e soprattutto nuovi progetti da realizzare, dirige il giornale in modo non proprio autoritario (!). Ideatrice e cofondatrice de Il Flâneur, non si accontenta di un solo lavoro. Giornalista, ufficio stampa culturale, insegnante di Comunicazione, indossa l’uno o l’altro cappello a seconda delle situazioni. Laureata in Editoria con il massimo dei voti, ama approfondire il rapporto tra città e letterati (sua, infatti, la tesi sulla Parigi di Émile Zola e la Vienna di Joseph Roth), i romanzi che raccontano un’epoca, i film di François Truffaut, le grandi città e, naturalmente, il viaggio flaneggiante, specie se a zonzo per le strade d’Europa. Per contattarla: valentina.sala@ilflaneur.com