Statue e “femmes fatales” nella conferenza online di Anna Però a Lecco

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di Giuseppe Leone

Meet una sera a cena, e non con la statua del Commendatore deciso a consumare la sua vendetta contro Don Giovanni, ma, questa volta, con La Venere d’Ille, protagonista di un racconto dell’horror di Prosper Mérimée, un’antica statua della dea di una bellezza conturbante che s’innamora di un giovane che sta per sposarsi e per gelosia lo uccide proprio la notte delle nozze.

A preparare questa singolare “cena” d’incubi e di paura, la sera del 15 gennaio alle 20.30, la dottoressa Anna Però, laureata in lettere classiche e già docente di storia delle Religioni del mondo antico all’Università degli studi di Milano, che attualmente si occupa di editoria scolastica.

Lo fa, in una conferenza online, dal titolo La statua che uccide. Tema della narrativa fantastica da Luciano di Samosata (I sec. d.C.) ai tempi moderni, su proposta dell’Associazione italiana di cultura classica della delegazione di Lecco.

Gli onori di casa, come sempre, alla presidente Marca Mutti Garimberti che ringrazia la studiosa per avere accettato l’invito; e il pubblico a distanza, per la sua generosa partecipazione.

Ed ecco, la dottoressa, riprendere, a proposito della Venere d’Ille, il vecchio tema della statua “viva e maligna”, noto un po’ ovunque nella letteratura, dal Medio Evo a Don Giovanni; e poi, narrare di Alphonse che incautamente, alla vigilia del matrimonio, infila un anello nel dito di un’antica Venere di bronzo ed è ritrovato la mattina successiva nel proprio letto nuziale, stritolato, come da un enorme peso.

Il tutto attraverso una narrazione che conduce con rigore filologico misto a suggestioni letterarie, parlando di un Mérimée, abile, che evita le affermazioni nette, l’orrore raccapricciante, gli effetti facili; accumula piuttosto indizio su indizio, guidandoci verso una conclusione che si guarda bene dall’esprimere e obbligandoci ad accettare il soprannaturale, paradossalmente come unica spiegazione logica di quanto è accaduto; e, della Venere d’Ille, come un testo canonico, consistente in una lunga serie di fatti, di cui ciascuno, preso singolarmente, può apparire giustificabile in altro modo, o dovuto al caso. Tanto da far sembrare esilissimo, quasi inconsistente, il confine tra razionale e irrazionale, e comunque tale da concedere quasi sempre al lettore un ampio margine di libertà, perché l’importante per la letteratura fantastica non è rendere l’irrazionale credibile, è piuttosto sovraccaricare le significazioni del razionale, renderlo polivalente.

Una “cena”, d’incubi e di paura, si diceva, ma non soltanto, anche un’interessante conversazione con il pubblico, se la dottoressa, in conclusione, rispondendo a due domande: la prima, sull’amore per le statue nel mondo antico, e non solo; la seconda, quanto la religione e la magia abbiano influito su questa serie di racconti come La Venere d’Ille, può riflettere e far riflettere come mai storie così ricche di fascino e d’inquietudine non siano solo frutto della letteratura del mistero, ma abbiano avuto  alimento e giustificazione anche  dalla realtà.

Alimento, dalla rivoluzione artistica di Prassitele, autore di una perturbante e languida Venere, come quella di Cnido, primo nudo femminile dell’arte greca, con le conseguenze di un mutato atteggiamento dello spettatore nei confronti della statua, fino alla perversione di cui parla Freud; e giustificazione, dalle disposizioni di Teodosio che, proibendo ogni culto pagano e chiudendo i templi, avrebbero innescato commerci clandestini e furti di questi oggetti d’arte, finiti ad abbellire  le ville patrizie della nobiltà.

Chiudono la serata gli applausi del pubblico e l’arrivederci della presidente al prossimo appuntamento del 26 febbraio con Laura Polo, docente di storia dell’Arte del liceo classico di Lecco.

Giuseppe Leone

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