RADIO FLÂNEUR – “Pressure Machine” di The Killers. La periferia americana dal Nebraska di Springsteen allo Utah dei Killers, ora in versione deluxe

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Prendete le atmosfere cupe di Nebraska di Bruce Springsteen e spostatele nello Utah, senza arrivare per forza a quella “rattlesnake speedyway in the Utah desert” già cantata dal Boss a fine anni ’70; trasformate la mitica Atlantic City nella meno rinomata Quiet town di Nephi, piccola città di 5300 anime nello stato dello Utah dove Brandon Flowers, voce e leader dei Killers, ha vissuto tra i 10 e i 16 anni; recuperate certi protagonisti e tutta l’intensità che solo certe storie di provincia sanno regalare, spesso condite da problemi di emarginazione, delinquenza e droga, ma soprattutto di riscatto che in tanti hanno già ampiamente descritto e cantato, da Johnny Cash a John Mellencamp, da Tom Petty a Bruce Springsteen o Bob Dylan; ascoltate infine le storie e le voci di chi in questa provincia ci abita o ci ha abitato negli anni più importanti della propria formazione, alternando la voglia di scappare a quella di tornarci per conviverci o farci in qualche modo i conti. Terminate queste operazioni, risulterà chiaro perché Pressure Machine dei The Killers sia uno dei dischi più belli, profondi, ispirati e toccanti pubblicati negli ultimi anni, ascrivibile in toto al mondo della miglior forma di canzone d’autore americana.

Già dalla copertina in bianco e nero emergono le prime somiglianze e i primi rimandi alle atmosfere tese del primo e inarrivabile capolavoro acustico di Bruce Springsteen, artista da sempre punto di riferimento per Brandon Flowers e compagni; eppure Pressure Machine, che con Nebraska condivide senza dubbio la radice e lo spunto esistenziale, non è ovviamente una trasposizione di quanto già fatto dal rocker del New Jersey nel 1982: dalle sue undici canzoni emerge un ritratto vivo e livido della provincia americana filtrata attraverso le storie e la sensibilità di Brandon Flowers, che una volta tornato nella sua Nephi, lontano dallo scintillio di Las Vegas, è stato travolto dai ricordi dell’adolescenza, con tutta una serie di storie e di persone incontrate anni prima che sono riaffiorate alla sua mente: vicende dure, che narrano di sogni infranti e di esistenze difficili confinate in una realtà rurale poco incline ai cambiamenti e alle rivoluzioni, di rimpianti esistenziali e battaglie personali per sopravvivere ai precetti di una comunità chiusa e conservatrice, storie di droga che non fanno sconti a nessuno, ma anche la possibilità di un riscatto tipico della provincia americana che ogni volta, come insegna Springsteen, si scontra con la forza dell’idea del grande sogno americano a disposizione di chiunque. Anche per i Killers – e soprattutto per l’esperienza del loro front-man – tutte queste storie e persone sono vittime della pressione di un sogno americano ormai dissolto, oltre che di un certo disincanto religioso abbastanza diffuso: da qui l’idea di quella “pressure machine” che ha dato il titolo al nuovo album del gruppo del Nevada, pubblicato nell’agosto 2021 e figlio in qualche modo del Covid e della fase di lockdown che ha costretto la band a uno stop forzato. “Nephi è una città in mezzo al nulla – hanno spiegato i Killers – ed è proprio così che ci sentivamo tutti noi durante il lockdown”.

Pressure Machine è un album dai connotati fortemente cantautorali, con ballad acustiche malinconiche e brani più country-rock e spigliati, con echi di synth ed elettronica anni ‘80 appena accennati a favore di steel guitar, violino e armonica, oltre a testi molto curati e a tratti autobiografici. Se l’eterea West hills posta in apertura del disco parla di un ragazzo arrestato dalla polizia per possesso di sostanze illecite (“They got me for possession of enough to kill the horses tht run free in the west hills…”), la successiva Quiet town – primo singolo del disco – è apertamente un tributo ad Atlantic city o alla Small town di Mellencamp, con tanto di armonica a sostenere la melodia: una celebrazione in piena regola di tutti i pro e i contro delle piccole realtà di provincia, dove tutti si conoscono e si aiutano a vicenda (“In this quiet town, salt of the land, hard-working people, if you’re in trouble they’ll lend you a hand, here in this quiet town…”). Terrible thing è una ballad minimale per voce e chitarra che parla di un adolescente gay che pensa al suicidio poiché non si sente accettato all’interno della comunità dove vive (“I’m in my bedroom on the verge of a terrible thing…”). Più ritmata risulta la seguente Cody, uno dei brani migliori del disco e ispirata musicalmente dal Bob Dylan di All along the watchtower e Changing of the guards; la canzone narra di un giovane che, disilluso dalla religione (“Says religion’s just a trick to keep hard-working folks in line…”) ha appiccato un incendio (“Cody says he didn’t start the fire, his parents know he probably did, he’s always playing with a light, he’s just a different kind of kid…”) soltanto perché annoiato da una realtà nella quale bisogna solo aspettare che succeda un miracolo per ottenere le cose (“We keep on waiting for the miracle to come, fall from the firmament and give us nice things…”). Di grande impatto per liriche e musiche risulta anche Sleepwalker, riflessione sul fatto che chiunque abbia preoccupazioni e paure da affrontare durante la propria esistenza (“Everyone is afraid of something, even the strongest man alive, hey sleepwalker, we went walking in the western hills and we picked you wildflowers, you gotta open your eyes…”). Runaway horses, cantata in duetto con Phoebe Bridgers, è una ballad dai suoni che ondeggiano fra i migliori lenti di Tom Petty e gli archi usati da Springsteen nel recente Western stars. Come in ogni narrazione americana che si rispetti non possono mancare le automobili, anche se nell’ottima In the car outside l’auto figura solo come luogo dove il protagonista ripensa con malinconia a un amore perso lungo la strada (“I’m in the car, I just needed to clear my head…”), mentre musicalmente il pezzo strizza un occhio alle migliori produzioni dei Gaslight Anthem di Brian Fallon, un altro dei songwriter più recenti cresciuto – inutile dirlo – a pane e Springsteen. Ritmi sostenuti si dipanano tra i sogni infranti dell’altrettanto notevole In another life, che racconta il rovescio della medaglia dell’abitare in un piccolo paese di provincia: confinati e schiacciati dalla stessa e immutabile realtà di tutti i giorni, si finisce sempre più per sognare di scappare, chiedendosi come sarebbe stato andarsene via per vivere un altro genere di vita: “Is this the life you chose yourself or just how it ended up? I spent my best years laying rubber on a factory line, I wonder what I would’ve been in another life…”. Si rallenta nuovamente con Desperate things, una murder ballad che narra la vicenda solo in parte romanzata di un poliziotto che si innamora di una donna vittima di abusi domestici e che alla fine, per vendetta, ne uccide il marito: “When you’re in love you can blinded by your own heart, you’ll bend your own truth, so twisted up you could justify sin…”; una storia che presenta diverse analogie con quella dei fratelli Joe e Franky Roberts protagonisti della splendida Highway patrolman del Boss, mentre a livello di arrangiamenti echeggia l’allucinata State trooper di Springsteen. Pressure machine affronta uno dei temi portanti del disco, ovvero quante vite di provincia scorrano uguali a sé stesse e siano condizionate dall’oppressione religiosa che vige alla base di queste piccole comunità (“But the kingdom of God, it’s a pressure machine, every step gotta keep clean…”). Dopo tanto grigiore e cupezza, uno spiraglio di luce è affidato alla conclusiva The getting by, un inno a cavarsela che sta a Pressure machine come Reason to believe stava a Nebraska: nonostante le circostanze avverse della vita, c’è sempre una ragione per credere e sperare in un futuro migliore: “Nothing good seems to ever come from all this work, no matter how hard I try… Maybe it’s the getting by that gets right underneath you, It’d swallow up your every step boy…”.

In definitiva Pressure Machine dei Killers è un concept album sulla vita nella cittadina di Nephi raccontata dal punto dei suoi cittadini – non a caso tra una canzone e l’altra sono inseriti degli inserti vocali registrati proprio fra gli abitanti del piccolo paesino americano – che descrive la provincia americana e affronta temi diversi fra loro, come la povertà, l’abuso di sostanze e il crimine, ma offre anche alcuni spunti di redenzione e riscatto, come in ogni album rock che si rispetti. Pressure Machine è uno dei migliori dischi pubblicati nel 2021 e, proprio a dimostrazione della sua valenza, nella primavera 2022 è uscita anche una deluxe edition contenente sette versioni alternative di brani già incisi nel disco: The getting by II (featuring Lucius), The getting by III, The getting by IV, The getting by V, Runaway horses Flowers, West hills II e West hills III. Al di là delle bonus tracks che in alcuni casi aggiungono piacevoli sfumature alla tavolozza di colori già presente nel disco, Pressure machine si conferma un album veramente notevole per ogni amante della canzone d’autore americana, da ascoltare con cura e attenzione.

Matteo Manente

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