RADIO FLÂNEUR – “Ma che film la vita” dei Nomadi. Il testamento in musica di Augusto Daolio a trent’anni dalla scomparsa

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È difficile sai, pensarti così lontano da quella volontà solo terrena di credere che tutto sia spazio, tempo, materia. Sono queste le cose che fanno della vita un gran carcere e l’evasione più dolce rimarrà sempre la tua… Ciao, grande Augusto, maestro di vita, compagno di mille viaggi. L’averti saputo amico ci farà scontare pene meno amare…”. È con queste parole che i Nomadi – nelle persone di Beppe Carletti, Daniele Campani, Cico Falzone e Elisa Minari – salutano sulle note di copertina di Ma che film la vita il loro leader, amico e fratello Augusto Daolio, scomparso prematuramente all’età di 45 anni il 7 ottobre di quel fatidico e maledetto 1992, anno in cui la band di Novellara aveva già perso il bassista Dante Pergreffi per un incidente stradale a metà maggio.

Da allora sono passati esattamente trent’anni, eppure quel disco splende ancora di luce propria, come solo le migliori opere d’arte sanno fare. Tutto concorre a rendere immortale Ma che film la vita, album live contenente le ultime registrazioni di Augusto Daolio con i Nomadi che è diventato fin da subito l’ultima e più preziosa testimonianza della sua attività con il gruppo emiliano: innanzitutto la voce inconfondibile di Augusto, avvolgente come la nebbia padana e mai così calda come in queste sedici tracce; poi ovviamente le canzoni intramontabili del repertorio nomade, dall’iniziale Il paese delle favole alla conclusiva Io vagabondo; la ritrovata armonia fra i componenti della band, che dopo gli screzi di fine anni ’80 e l’ingresso nel 1990 di Cico Falzone e Daniele Campani al posto di Lancellotti e Dennis aveva raggiunto un equilibrio di stile e una perfezione sonora che forse non avrebbe più eguagliato negli anni a venire; infine un pubblico sempre più rapito da un leader così carismatico come Daolio e fedele alla storia dei Nomadi, che da qui in poi travalicherà l’aspetto prettamente musicale per diventare la storia di tanti giovani che si riconosceranno in un movimento d’idee e di ideali da condividere e cantare insieme sotto un palco.

Ma che film la vita – sottotitolato I nostri concerti e recante in copertina la foto del gruppo al matrimonio di una coppia di amici – è il saluto sentito e struggente dei Nomadi a Daolio, l’unico modo possibile per omaggiare colui che era il volto del gruppo stesso, l’immagine che prima di tutte veniva in mente pensando alla band di Novellara. Sedici tracce registrate durante l’ultimo tour di Augusto coi Nomadi, che si alternano fra brani storici (Io vagabondo, Dio è morto, Canzone per un’amica, Auschwitz, Un giorno insieme), pezzi più recenti (C’è un re, Ma che film la vita, Salvador, Ricordati di Chico, Mercanti e servi, L’uomo di Monaco, Gli aironi neri) e gemme riscoperte per l’occasione tratte dal vastissimo repertorio del gruppo emiliano (Il paese delle favole, Suoni, Primavera di Praga, Gordon); tutto questo cucito sulla voce inimitabile di Augusto e sorretto da un sound brillante, oltre che da arrangiamenti senza tempo ad opera di Beppe Carletti (tastiere), Daniele Campani (batteria), Cico Falzone (chitarre) e Dante Pergreffi (basso), al quale subentrerà da fine maggio ’92 la giovanissima Elisa Minari.

Sulle note arpeggiate di una chitarra acustica e della fisarmonica di Carletti entrano in scena i Nomadi, ma il vero boato del pubblico esplode quando sale sul palco Augusto, che con voce ferma e profonda inizia a cantare “Peter Pan non lotta più, ha venduto il suo pugnale, Capitan Uncino manda Wendy a battere sul viale”, per proseguire poi con tanti altri personaggi delle favole riadattati alla realtà del tempo, che è poi la stessa che viviamo oggigiorno: Il paese delle favole non si smentisce mai, fra Alì Babà e i Quaranta ladroni che hanno già vinto le elezioni, Cenerentola che si vende al principe di turno e Paperino costretto a lavorare alla catena di montaggio, nella speranza che per tutti torni al più presto un’onda nuova alla fine del riflusso. La batteria di Daniele Campani irrompe prepotente e detta il tempo all’invettiva antimilitarista di C’è un re, brano che non ha bisogno di troppe spiegazioni: “C’è un re, c’è un re che non scende dal trono, c’è un re, c’è un re che non fa nessun dono…”. Cico Falzone si prende la scena con l’assolo introduttivo di Ma che film la vita, che in questa versione – ma soprattutto alla luce degli eventi accaduti in quel maledetto ’92 – diventa il testamento spirituale di Daolio: scritto un anno prima di ammalarsi, il testo è un ringraziamento laico da parte di Augusto nei confronti di tutte le cose belle della vita, dalle stagioni, alle ragazze, alle emozioni: “Ma che film la vita, tutta una tirata, storia infinita a ritmo serrato da stare senza fiato… Ma che film la vita, tutta una sorpresa, attore, spettatore fra gioia e dolore, tra il buio ed il colore…”. Suoni è un brano strumentale senza testo, ma l’armonizzazione vocale di Augusto che segue la melodia con il suo crescendo di intensità mette letteralmente i brividi; Salvador e Ricordati di Chico sono due episodi fondamentali della discografia dei Nomadi di inizio anni Novanta, rivolti al Sudamerica e dedicati rispettivamente al presidente cileno Salvador Allende e al sindacalista brasiliano Chico Mendes. Primavera di Praga è spogliata da ogni arrangiamento e suonata solo voce e chitarra: inutile dire che raggiunge livelli di pathos incredibili, mettendo in risalto ancora di più la voce di Augusto e il testo dell’amico Guccini. Si torna all’attualità e a tematiche sociali importanti con Mercanti e servi, canto di uguaglianza fra due classi divise solo da finte etichette senza senso: “Mercanti e servi, la stessa vita, sogni o denari, sabbia fra le dita…”. La storia del ‘Novecento bussa alla porta prima con la struggente L’uomo di Monaco, scritta da Augusto dopo aver visitato i campi di concentramento tedeschi, poi con una sontuosa versione de La canzone del bambino nel vento (Auschwitz) di Guccini, intervallate dal breve frammento per piano e voce del classico Un giorno insieme. Gordon è uno di quei pezzi meno conosciuti al grande pubblico ma che tanto amano i fans più sfegatati dei Nomadi, mentre Gli aironi neri, ultimo successo tratto dall’allora nuovo disco Gente come noi, è uno dei punti più alti mai raggiunti da Daolio in trent’anni di attività musicale, involontariamente diventato poi uno dei suoi epitaffi meglio riusciti: “Tu che conosci il mare e le stelle come guida prendi quel timone e insegnami la via…”. Siamo alle battute finali e come da tradizione che si rispetti, un concerto dei Nomadi non può finire senza che si suoni la triade conclusiva di ogni loro spettacolo: Canzone per un’amica, Dio è morto e l’immancabile, eterna e programmatica Io vagabondo, qui arricchita dalle note finale del Te Deum e da una breve introduzione parlata di Augusto che, dettata dalla spontaneità di chi non sa di avere di fronte ancora pochi mesi di vita, diventa il più bel lascito artistico che si possa desiderare, parole che suggellano una storia trentennale fatta di musica e passione, di viaggi e di radici, di pianura e spazi aperti dove prendere il volo come gli aironi neri dell’omonima canzone: “Ciao a tutti, è stato bellissimo! Più va avanti il tempo e più tutta questa storia ci coinvolge in pieno, perché vediamo che c’è in giro molta gente che viene coinvolta nella stessa maniera, non è una questione di età, ci sono persone di qualsiasi età e questo dà più senso alla storia, alla nostra storia, che poi è la storia anche delle persone che camminano, vivono, eccetera… ed è bellissimo! Ciao a tutti, grazie… come sempre, Sempre Nomadi!

Dalla pubblicazione di Ma che film la vita son trascorsi ormai trent’anni, decenni nei quali i Nomadi, fra alti e bassi, tanti successi e altrettanti mutamenti di formazione, hanno tenuto sempre alta la bandiera e il ricordo di Augusto come se fosse la loro missione principale e di questo gli va dato atto, a prescindere dalle preferenze di ciascuno rispetto ai cantanti che si sono succeduti nel tempo: se non fosse stato per la loro caparbietà di stampo tipicamente emiliano, oggi quel bambino che nel 1992 giocava in un cortile non sarebbe diventato l’uomo che è diventato e se è stato davvero tutto come il tempo ha voluto, è merito anche di album iconici come Ma che film la vita e di uomini straordinari come Augusto Daolio.

Matteo Manente

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