RADIO FLÂNEUR: “Terremonto” dei Litfiba.
25 anni dopo è ancora il pugno in faccia più rock della musica italiana

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Se in Italia il rock è diventato un genere per tanti lo si deve anche a un gruppo come i Litfiba e al loro modo di interpretarne lo spirito più puro; e se i Litfiba, da band di culto per pochi affezionati dell’underground italiano di metà anni ’80 sono diventati un fenomeno quasi di massa nel corso del decennio successivo, lo devono anche a un disco come Terremoto, album-cardine della cosiddetta Tetralogia degli elementi che proprio quest’anno compie la bellezza di ben venticinque anni senza dimostrarne nemmeno uno, data la disarmante attualità delle canzoni e delle tematiche affrontate al suo interno.

Muri di chitarre a imbastirne il suono e testi più incazzati e rabbiosi che mai, Terremoto è ancora oggi un vero e proprio pugno in faccia per chi lo ascolta, a cominciare molto banalmente dalla splendida copertina arancione con il mitico pugno chiuso in primissimo piano: un logo e un’immagine ad effetto, diretta, che rappresenta anche visivamente tutta la rabbia e la voglia di cambiare una realtà marcia e corrotta cantata nei solchi di quel disco. Grafica a parte, però, l’album pubblicato dalla band fiorentina a inizio 1993 è ancora oggi uno degli esempi di rock più spinto e tirato che siano mai stati incisi nel nostro paese: una potenza sonora a cui fanno da supporto testi affilati e graffianti che denunciano diversi mali della società di allora, dallo strapotere ormai evidente delle televisioni e di chi le controlla o le possiede (Maudit) alla denuncia cruda e diretta di mafia e corruzione (Dimmi il nome), dalla smania per il successo e il denaro (Soldi) alla necessità di reagire e ribellarsi a tutto questo (Dinosauro), fino al rifiuto più netto della guerra e della violenza in generale (Prima guardia). Complici il clima politico che si respirava in Italia legato allo scandalo di Tangentopoli e il sound di dischi come il Black Album dei Metallica, il duo Pelù-Renzulli diede sfogo e convogliò tutta quell’energia e quella rabbia in una manciata di brani che ancora oggi costituiscono l’ossatura dei loro concerti, con canzoni entrate di diritto nel cuore dei loro fans grazie anche a versi trasformati in veri e propri slogan e manifesti di pensiero.

L’urlo “Oh Terremotooooo!!!” introduce l’esplosiva e anti-mafia Dimmi il nome: “Dentro i colpevoli e fuori i nomi / il ladro dimmi chi è, voglio il nome… / non è la fame ma è l’ignoranza che uccide / fanculo l’onore e l’omertà!”: difficile essere più espliciti e diretti nell’affrontare un tema così scottante in una canzone, specie dopo l’anno delle stragi e quel 1992 appena concluso. Dopo un attacco che più duro non poteva essere, si passa senza tregua all’invettiva ancora più forte e purtroppo senza tempo di Maudit: Sarò il cortocircuito nella stanza dei bottoni / per sciogliere i veleni delle tue decisioni / di notte voglio entrare nella televisione / truccarmi da pallone e poi raccontarvi tutto… / tutto, tutto sulla mafia / tutto, tutto sulla P2 e l’Europa che ci fa ciao… / autoelogi e insabbiamenti, funerali tutti presenti / i politici e la malavita, i politici e la bella vita… / tutto, tutto, tutto e niente… e via il guinzaglio!”. Fata Morgana con il suo sound etereo e trasognante è la prima ballad che rallenta un po’ i ritmi, regalando atmosfere magiche grazie a un riff di Ghigo che resta incollato al primo ascolto: “Ho sete, ho sete di te che non sei qui / stella caduta dagli occhi e voli sul mio deserto… / Lunga scala d’aria che sale dal deserto / non c’è confine tra l’occhio dentro e l’occhio fuori… / Lenta processione all’alba nel deserto / Fata Morgana ha già cambiato ogni profilo…”. Energia esplosiva e ironia pungente sono alla base della successiva Soldi: “Hai venduto l’anima al mercato / già qualche santo in terra c’è cascato / ora ti senti più nervoso / con la faccia da goloso / per combinazione la salvezza tua la paghi in soldi… / soldo ti compra ma non paga / non è ufficiale ma è la peggior droga…”. Tra gli elementi di critica non mancano frecciatine nei confronti della propria città natale, presa di mira proprio in Firenze sogna: Firenze sogna, Firenze sogna / l’ombelico della vergogna, la signora con gli interessi più prolifici / e ho tanta voglia di credere che il mostro è il cittadino normale…”. Quel “reagire o scoppiare” cantato alla propria città è il collante perfetto per la successiva Dinosauro, brano potentissimo che incita proprio a reagire e ad alzare la testa per inseguire quel “sogno ribelle” capace di sconfiggere tutti quei “dinosauri” che osteggiano il cambiamento per paura di perdere il proprio potere e i privilegi che ne conseguono: “Cambia artiglieria, usa l’energia / pretendi i tuoi diritti per primo quelli scritti / e cerca di lottare come se fosse amare / quello è il dinosauro, non devi farlo alzare…”. L’antimilitarismo sempre caro a Pelù fa capolino nella stupenda e anche musicalmente perfetta Prima guardia, canzone in cui la protesta contro il servizio militare e la guerra in generale assume toni più pacifici ma non meno convinti: “Uomo col fucile, il nemico è la tua naia / sei prigioniero e resti solo a difenderti dal freddo / Uomo col fucile, prigioniero della tua bandiera / e corri in tondo, testa in fumo, è la prima guardia… / Trasforma il tuo fucile in un gesto più civile!”. Sfumature più spinte e lussureggianti infiammano Il mistero di Giulia, storia di tradimenti e giochi di coppia non sempre andati a buon fine; una sorta di Gioconda parte due, ma più spiritosa e suadente, tra tastiere e fraseggi di chitarra sempre in primo piano: “Ah, tu sei una professionista o casalinga annoiata / ci sei o ci fai / una contorsionista sull’anguilla infuocata / ma il tuo profumo io lo conosco già / nel tuo mistero c’è una sporca verità… / da vicino niente è vero / il mistero di Giulia che non è più Giulia… che pacco siamo noi”. A chiudere il cerchio di un disco praticamente perfetto ecco il blues dalle tinte desertiche di Sotto il vulcano, brano sensazionale dedicato ad Augusto Daolio, leader e cantante dei Nomadi scomparso pochi mesi prima il 7 ottobre 1992: “Dammi un senso, dammi una direzione o cavallo di luce / SOS Terra, SOS uomo / Sono un vulcano e non mi ferma nessuno / Cuore rosso, la mia terra ha un cuore che batte fin qui / Pompa sangue dall’ombelico della vita e della morte / E non sprecare sangue e non buttare il mio / che nasce dentro il vulcano…”.

Musicalmente Terremoto è l’album più duro mai suonato e registrato dai Litfiba, che abbandonata ormai la vena new wave e la cripticità dei testi tipici degli anni ’80, si lasciano alle spalle il med-rock di El Diablo e si lanciano in veri e propri inni pieni di riff devastanti e chitarre elettriche sparate a tutto volume: le sei corde di Ghigo Renzulli, insieme al basso di Roberto Terzani, alla batteria martellante di Franco Caforio, alle tastiere del mitico Antonio Aiazzi, alla seconda chitarra di Federico Poggipollini e naturalmente alla voce tonante dell’inconfondibile Piero Pelù, danno forma, colore e sostanza a un disco tra i più importanti e famosi dell’intera carriera dei Litfiba. A tutta questa potenza musicale si aggiungono i testi infuocati e barricaderi scritti da Pelù, in più di un’occasione dei veri e propri atti d’accusa contro quelli che reputava come alcuni dei mali più grandi che affliggevano la società e il mondo in quel periodo e che oggi, paradossalmente, sembrano ancora più attuali e drammatici rispetto al 1993!

Terremoto, sebbene non abbia raggiunto il successo di vendite del precedente El Diablo o dei lavori che sarebbero arrivati di lì a pochi anni (specie Mondi Sommersi e Infinito), ha comunque portato ulteriore popolarità e visibilità al gruppo fiorentino (epica la loro esibizione al Concertone del Primo Maggio del 1993, con un Pelù scatenato sul palco!), certificando lo stato di grazia di una band che grazie a un percorso del tutto proprio e originale ha riscritto le regole e spianato la strada per un certo tipo di rock in Italia, riuscendo a coniugare suoni semplici e di immediato impatto a testi e tematiche il più delle volte spinose e attuali, ma soprattutto mai banali: questo insieme di musica e parole, venticinque anni dopo, è ancora lì a indicare la strada, come se il tempo e gli anni – nel bene o nel male – non fossero mai passati dall’irruzione di quel pugno chiuso in copertina. Dimmi il nome, Maudit o Prima guardia hanno lo stesso identico potere e valenza del momento in cui furono scritte, registrate e pubblicate: tutto questo non so se sia più un merito dei Litfiba o una colpa di chi nel frattempo non è riuscito a cambiare niente della realtà politica, sociale e culturale in cui viviamo ogni giorno… per ora resistiamo, in attesa di un nuovo Terremotoooooo!!!

Matteo Manente

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