Intervista a Francesco Ghiaccio, regista e coautore di “Un posto sicuro”

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In occasione della proiezione in Sala Ticozzi del suo Un posto sicuro, film di denuncia che parla di Eternit e del dramma di Casale Monferrato, abbiamo intervistato il regista e coautore (insieme all’attore Marco D’Amore)  della pellicola: Francesco Ghiaccio.

Tu e Marco D’Amore siete amici da molti anni. Com’è nata l’idea di affrontare questo progetto insieme?

Io e Marco ci siamo conosciuti poco più che ventenni alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, dove io studiavo drammaturgia e lui recitazione. Abbiamo sempre lavorato insieme, fondando la nostra compagnia di produzione che ha finanziato anche “Un posto sicuro”. L’idea di questo film è nata perché io sono cresciuto a Casale Monferrato e insieme a Marco ne abbiamo sempre parlato. Quando è cominciato quello che, nei fatti, è uno dei più grandi processi mai realizzati, abbiamo intensificato questi discorsi. Oltretutto la scuola di teatro dista un’ora e mezza di macchina da Casale e Marco veniva spesso a trovarmi. Tutti quegli accadimenti hanno cominciato ad abitare sempre più frequentemente i nostri pensieri e le nostre discussioni. Abbiamo sentito la necessità d’indagare di più l’argomento e di raccontarlo.

Avete lavorato soprattutto sulle testimonianze dei casalesi, senza soffermarvi sugli atti giudiziari. È stata una scelta artistica precisa? 

Esattamente. Ci siamo resi conto che raccontare questa vicenda con un tono documentaristico era sbagliato. Quello è totalmente un altro linguaggio e dare solamente i numeri del disastro era un metodo canonico per colpire lo spettatore, a cui siamo molto abituati. Duemila vittime, in una piccola cittadina, raccontati in un servizio al tg, ci commuovono solamente per quei pochi minuti. Invece narrare una vicenda umana tenendo il disastro sullo sfondo permette alla vicenda di diventare universale. Perché proprio intervistando molti cittadini ci siamo resi conto che tutte le duemila vittime erano biografie precise e a loro modo interessanti e dignitose di una storia. Quindi questo è lo scarto che abbiamo fatto per iniziare a raccontare.

Raccontare una storia drammatica che ha per antagonista l’amianto…

un posto sicuro1L’amianto sembrava una storia locale e Casale Monferrato la cittadina che ha avuto la fabbrica dell’amianto. Molti non sanno che ora Casale è una delle città più bonificate d’Europa. Però fare un documentario sulla storia della fabbrica dell’amianto a Casale sarebbe stato come continuare a vedere quel problema a livello locale. Mettere al centro della vicenda dei personaggi di finzione ma che fanno riferimento a delle storie che ci sono state realmente raccontate, permette invece allo spettatore di identificarsi, di vivere quell’esistenza nello spazio e nella durata del film. Ecco perché ho portato “Un posto sicuro” in giro per l’Italia, viaggi in cui capita sempre qualcuno che mi dice: qui a Taranto abbiamo l’Ilva oppure qui a Lecco abbiamo la fabbrica del ferro. Tutte situazioni che creano dei piccoli grandi disastri. Vedere che l’amianto è sullo sfondo e che in quello sfondo puoi scorgere quello che hai vissuto tu, capire che davanti hai una storia che ti assomiglia, contiene una forza molto più intensa.

Casale Monferrato ha un’atmosfera apparentemente silente, così come tutto il Monferrato. Anche il fattore ambientale di una cittadina spostata dalla zona del torinese ha contribuito a far abbassare i toni intorno a questo dramma? 

La fabbrica a Casale è rimasta quasi un secolo e se ne parla da pochissimi anni. Prima era qualcosa che rimaneva all’interno della città e soltanto nelle case che erano state colpite dal dolore e dal lutto. Gli altri non ne volevano sentire parlare. Le morti ci sono sempre state, da decenni. Sicuramente ciò ha influito sull’umore di questa città che giustamente tu definisci silente, serena e tranquilla. Tuttavia esiste una dignità, un coraggio e una determinazione granitica, quasi più dell’amianto. Hanno condotto una battaglia silenziosa durata più di trent’anni e che ha portato a quell’attenzione mediatica che ha saputo coinvolgere tantissime persone. Prima erano da soli.

C’è un ricordo in particolare o un aneddoto che vuoi raccontare, rispetto a questo percorso umano e professionale?

Io e Marco abbiamo scritto la sceneggiatura insieme e abbiamo incontrato tantissimi cittadini ed ex operai. La difficoltà di ogni racconto, considerando il dolore, era enorme, ma all’interno di quel dolore c’è la voglia di ottenere giustizia e di ricominciare. Ovviamente stiamo parlando sempre di sofferenza e sacrificio. Una cosa che mi è rimasta impressa nella mente è stata la battuta di un ex operaio sopravvissuto che ha ispirato il monologo finale del film, il quale mi ha raccontato che quando aveva iniziato a lavorare in fabbrica, quella era un luogo delle meraviglie, dove producevano un materiale eccezionale. L’amianto era leggero, isolante, esportato in tutto il mondo. Loro erano fieri di produrre qualcosa di speciale, ignorando che proprio quel prodotto li stava uccidendo. E mentre me ne stavo andando mi ha detto: Chissà qual è l’amianto oggi. Chissà qual è quel materiale lavorato con amore e passione che non sappiamo che ci sta uccidendo e che scopriremo forse in futuro.

Sei soddisfatto del percorso del film?

un posto sicuroIl riscontro è molto positivo, considerando che siamo usciti al cinema in un momento sfortunatissimo, nel periodo natalizio. Finito quel frangente festivo, da gennaio in avanti sono arrivate le prime richieste dai vari cineclub che volevano vedere il film e da lì si è innescato un passaparola che ci permette di essere ancora in giro a presentare questo film. E la cosa bella è che molti lo proiettano senza nemmeno invitarci perché non hanno bisogno dell’ospite per portare avanti il discorso. Nel caso di Lecco, poi, la situazione è particolare, perché si tratta di un incontro voluto dal Gruppo Aiuto Mesotelioma. 

Infine, stai lavorando a qualche nuovo progetto?

Si, anche se la storia la sto facendo germogliare e la sto custodendo con calma. Sto cercando un modo per rispettare il pubblico che ho incontrato in tutti questi mesi. Voglio rispondere dicendo loro quello che hanno sempre voluto sentirsi dire in tutto questo tempo.

Davide Sica

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L'autore di questo articolo

Davide Sica