ARCHIVIO – Il mito e le ombre di Pantani al Teatro della Società di Lecco

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Pantani. Un nome. Un mito. Un simbolo del ciclismo italiano. Poi le domande. L’inchiesta. La tragedia. La morte di un dio forse troppo umano. Sabato 31 maggio alle 21 presso il Teatro della Società di Lecco, il Teatro delle Albe ricorderà il campione con uno spettacolo a lui intitolato, che non vuole essere memoria o omaggio, ma riflessione ancora attuale su una società che sa essere giusta o spietata. “Pantani”, s’intitola: perché non occorrono spiegazioni e qualsiasi parola aggiunta finirebbe per togliere intensità a quell’unico nome che campeggia in locandina come sulla prima pagina di un quotidiano. O su una lapide.

14 febbraio 2004: il corpo senza vita di Marco Pantani viene ritrovato in un residence di Rimini. A soli 34 anni, il campione è ucciso dalle accuse di doping subite a Madonna di Campiglio qualche tempo prima, che in seguito si sarebbero rivelate infondate.

PantaniConta più di cento pagine il copione, per il quale il regista Marco Martinelli ha tratto spunto dal libro del giornalista francese Philippe Brunel, Gli ultimi giorni di Marco Pantani. Cento pagine di teatro-inchiesta dal ritmo serrato, in cui domande senza risposta danno voce ai genitori di Marco. Per calarsi nei panni della madre Tonina, Ermanna Montanari dichiara: «Ho tenuto quell’invettiva che pronuncia dopo il funerale contro i giornalisti, contro il sistema dei media: “Andate via! Andate via!”, grida. Quell’attacco mi fa sobbalzare il cuore. Ho un importante rapporto con un fiore per me totemico, che torna in vari spettacoli, una calla bianca, segno della sparizione, come il non-colore bianco. Rappresenta anche una piccola luce in tanto buio. E indosso anche un abito rosso, sanguigno, amoroso, che contrasta con il biancore interno, con gli svenimenti intimi in cui lei si trova sospesa. In scena non guarda mai i video, non vuole vedere: lo spegne, lo schermo. Non vuole guardare il figlio fra i carabinieri…». È una madre che, forse, non vuole vedere, ma certo vuole sapere e cerca una giustizia che riscatti l’onore compromesso del figlio.

Spiega Martinelli che ha scelto di dedicare uno spettacolo alla vicenda di Pantani «per il fatto che è al tempo stesso la storia di un individuo, di una persona che muore tragicamente, e di un grande atleta che diventa una vittima sacrificale. Nella sua morte siamo implicati tutti noi. È il mito del campione che arriva in cima alla montagna e da là lo scaraventano giù. È un mito arcaico, con tutti i crismi per rivivere nella nostra società mediatica».

Una società che non perdona ed è alla continua ricerca di capri espiatori da gettare fra le fauci degli spettatori, giusto per parlare e far parlare, giusto per fare audience, giusto per alimentare quell’istintivo e spietato senso di soddisfazione nell’assistere alla sconfitta del più forte, alla caduta di chi ha raggiunto l’apice, anche solo per un momento. Una società mediatica che non perdona l’errore e non contempla la debolezza, e anzi li addita e li ingigantisce per farne spettacolo. Uno spettacolo di dolore e vergogna e disfatta da cui noi tutti, morbosamente,  finiremo forse per essere attratti.

Katia Angioletti

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Katia Angioletti