“Shakespeare’s memories”: una convincente performance di Christian Poggioni, fra biografia e teatro

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Di Giuseppe Leone

LECCO – Davvero un Seicento in controtendenza rispetto al diciassettesimo secolo da sempre icona di decadenza e di regresso, quello messo in scena da Christian Poggioni davanti a un pubblico attento e interessato, presso l’Auditorium Casa dell’Economia a Lecco, il 17 novembre, nell’ambito delle iniziative del cittadino Liceo Classico e Linguistico Manzoni, in omaggio a  William Shakespeare nel quarto centenario dalla morte.

shakespeares-memories2Un Seicento recuperato nel segno della meraviglia, attraverso un excursus nella vita e nelle opere del celebre autore inglese, con scene tratte da Romeo e Giulietta, Amleto, Otello, Il mercante di Venezia, Re Lear. Il tutto per far rivivere un entusiasta drammaturgo, presentato come il Galileo del teatro, inondato di meraviglia davanti a questo affascinante giocattolo che è stato per lui il palcoscenico, come la volta celeste lo era stato per lo scienziato pisano. Il teatro, insomma, come unica grande metafora del mondo e uomini e donne i suoi attori e le sue attrici, che non cessano di meravigliare e meravigliarsi a loro volta.

Meraviglia che Poggioni, in qualità di autore e regista, moltiplica, avvolgendo la figura dell’uomo e del drammaturgo tra realtà e leggenda, domandandosi se Shakespeare sia veramente vissuto e  se si chiamasse  con questo nome; se sia stato un pastore, un mercante, un attore o, più semplicemente, lo pseudonimo che nascondeva Marlowe.

E non solo in veste d’autore, anche in qualità di attore generoso quale egli è, che non si risparmia affatto sulla scena, tanto che inizia il dramma in lingua inglese, con grande spolvero di pronuncia e dizione, per concluderlo cantando a cappella, prima a una e poi a tre voci.

07Shakespeare_memories3Con lui, Ermelinda Çakalli, attrice di naturale eleganza, e Lorenzo Volpi, attore di buon temperamento drammatico, si son dati un gran da fare sulla scena e non solo, ora calandosi nei personaggi evocati, ora creandosi un virtuale proscenio attraverso gesti  e sonorità di tamburelli, tamburi e campane tibetane. Uno spettacolo bello e interessante, allora, moderno e tradizionale a un tempo, nonché fresco e dinamico, che smaltisce con disinvoltura il fardello del tempo e della storia, portando la vicenda sul “qui e ora” e donando allo spettatore la sensazione  di uno Shakespeare ancora in giro fra noi, pronto a riprendere il nostro dramma quotidiano, a occhio nudo e senza i vantaggi dell’elettronica, come ai suoi tempi, con la voce dei banditori quale si udiva  nelle  vie d’intorno. Il tutto a gloria di un teatro scarno e essenziale (come la scenografia  di Francesca Casati e i costumi di Bettina Colombo), che per sopravvivere non ha bisogno se non dell’ingegno e della fantasia.

 Giuseppe Leone

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