Teatro: applausi per l’Edipo contemporaneo di Delbono. La recensione

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Forse è proprio questo l’unico modo di parlare di Edipo: sottrarre alla scena tutto ciò che vi è di inessenziale per dare luce a corpo e voce, a un sangue che scorre e si sparge a terra nella forma di leggere stoffe panneggiate su cui poggiano sedie e leggii; ritornare all’essenza, perché la voce per il teatro è come il sangue per il corpo, linfa vitale che scorre immutabile e sempre diversa. “Panta rei”, tutto scorre, come il sangue, come il suono. E tutto resta immobile, come la morte, come la sciagura, la tragedia, l’orrore, il buio di una cecità che è colpa e punizione insieme. Come Edipo, archetipo dell’eroe tragico e portavoce di una fragilità struggente e moderna, oggi come ai tempi di Seneca.

delbonoPippo Delbono domina la scena spoglia, immersa in una suggestiva penombra, insieme a Petra Magoni e si alterna a lei in una recitazione che si scioglie in canto, o che tale canto nega, a seconda del momento e a seconda della necessità scenica: la voce roca di Delbono incontra e s’intreccia alle melodie dolcissime interpretate dalla Magoni, che talora, inaspettatamente, si acutizzano e si perdono in sibili e urla sconnesse, a ripetere il lamento di Antigone svuotato ormai di parole troppe volte ripetute. O le accompagnano in un controcanto seducente che sembra avvicinare le parole di allora e le parole di oggi, perché la condizione di Edipo, orfano inconsapevolmente (innocentemente?) responsabile del proprio destino, non è, infine, così diversa dalle molte situazioni di sradicamento vissute e patite dall’uomo contemporaneo, e dello stesso Delbono. Ed ecco che la voce graffiante della Magoni, che sa essere anche ruggito potente, pieno di forza, non cerca un colpevole, non indaga responsabilità, ma prorompe come grido di dolore per il sangue che è sgorgato secoli fa e continua, perenne, a sgorgare da ferite sempre nuove. Perché, come afferma Delbono, “i grandi temi del passato […] restano poi quelli dell’essere umano di oggi, sperduto e impaurito nella sua sorte di essere mortale, soggetto al suo inevitabile, inspiegabile scomparire”.

Forse, dunque, solo la musica che si accompagna a una parola franta può, oggi, parlarci di Edipo e avvicinarci alla sacralità del tragico: il dolore non sopporta espressione compiuta, sembra dirci Delbono, e noi siamo chiamati a rispettarne l’essenza fuggevole e patirne le urla laceranti e i silenzi. Una musica che, non a caso, attraversa i secoli e i generi e tocca il Rinascimento di Peri e Monteverdi, così come il contemporaneo di Sinead O’Connor e De André. Una musica che, nel finale, si completa nel suono appena articolato, ma potente, ritmico, eloquente come un pentametro, della voce di Bobò, vecchia e amata conoscenza per il pubblico di Delbono. Bobò sordo e muto come Edipo è cieco, come ciascuno è sordo e muto e cieco di fronte al tragico e alla morte.

Una platea non strabordante, ma entusiasta e partecipe, ha accolto gli artisti ieri sera presso il Teatro della Società di Lecco.

Katia Angioletti

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Katia Angioletti