Il vuoto senza “Eco”…

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LECCO – La notizia sta rimbalzando da alcune ore su tutti i media: giornali che riportano sinteticamente le tappe più importanti di una carriera ricchissima, fatta di studi e di scrittura, di best sellers internazionali e di contributi dati alla Semiotica, alla Filosofia, alla Linguistica, alla Sociologia della Comunicazione. Ma quando una figura dello spessore di Umberto Eco ci lascia ciò che ci avvolge è soprattutto un senso di vuoto. Perché quel posto nella nostra percezione del mondo della Cultura che sino a poche ore fa era suo, quella stima incondizionata che abbiamo provato nel sentirlo parlare, nello scorrere le righe di uno dei suoi romanzi, lasciano proprio un vuoto, e non c’è una parola più adatta.

Studioso, certo. Di quelli che rendono il nostro Paese orgoglioso. Ma per noi soprattutto uno scrittore, capace in ogni suo romanzo di portarci in epoche lontane, di avvicinarci alla storia del pensiero, di farci provare la sensazione, almeno per qualche giorno, di trovarci in luoghi e tempi diversi dai nostri. Un’abilità rara, la sua, di saper ricostruire a posteriori lo spirito del tempo raccontato, di tratteggiare personaggi di fantasia sempre credibilissimi e quasi mai eroi positivi, bensì persone con le loro debolezze, fissazioni, ambiguità. Personaggi a tratti cinici, addirittura meschini, le cui vicende si intrecciano con la Storia.

Eravamo molto giovani quando insieme a Guglielmo da Baskerville e a moltissimi altri lettori abbiamo varcato il portone di un monastero benedettino medievale, tra inspiegabili omicidi, intrighi, dispute tra ordini monastici, inquisitori. E poi ci siamo addentrati con Casaubon nel mondo dell’occultismo e dell’esoterismo, alla scoperta di teorie complottiste su templari, illuminati, massoni e sette, per poi coglierne il lato grottesco. O ancora la Storia, i miti e le leggende medievali vissuti attraverso gli occhi di Baudolino, per poi essere nuovamente catapultati nel complottismo, questa volta nella versione antisemita ottocentesca incarnata da un falsario piemontese. Fino all’ultimo romanzo, Numero Zero, uscito soltanto un anno fa per riportarci con la mente nella Milano dei primi anni Novanta, tra giornalisti che hanno dimenticato il senso della loro professione, che parlano per frasi fatte, che sono specchio di una società corrotta e senza memoria.

Difficile pensare che di viaggi come questi non ne faremo più. Perché quello che oggi, alla notizia della sua scomparsa,  viene da chiederci è se qualcuno saprà raccogliere l’eredità di un così raffinato ed eclettico uomo di Cultura. Niente biografia, curriculum, lodi o parole di circostanza. Il nostro è solo un commosso addio e un augurio per il futuro, affinché questa nostra Italia sappia prima o poi darci, e soprattutto riconoscere, un nuovo Eco, qualcuno che possa riempire parte di quel vuoto che oggi ci pare tristemente incolmabile.

Valentina Sala, Daniele Frisco

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