RADIO FLÂNEUR: Litfiba – “Eutòpia”. Piero Pelù e Ghigo Renzulli chiudono la Trilogia degli Stati con un album a tutto rock

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È un dato di fatto che l’ormai più che trentennale carriera dei Litfiba sia andata avanti a fasi e periodi ben definiti: prima l’esordio negli anni ’80 con la Trilogia del Potere (Desaparecido, 17 Re, Litfiba 3), poi la Tetralogia degli Elementi e il successo ottenuto negli anni ’90 (El Diablo, Terremoto, Spirito, Mondi Sommersi) e infine la separazione tra Pelù e Renzulli all’apice del successo riscontrato con Infinito, il tutto intervallato da live e raccolte di vario genere (Aprite i vostri occhi, Pirata, Sogno ribelle, Colpo di coda, Croce e delizia). Alla riappacificazione tra cantante e chitarrista, avvenuta nel 2009, è seguita una terza fase artistica per la rock band fiorentina, definita dagli stessi Litfiba come Trilogia degli Stati: nel 2010 è stata la volta del doppio live Stato Libero di Litfiba, nel 2012 il primo album in studio post reunion intitolato Grande Nazione e ora, dopo un live celebrativo dei primi anni Ottanta (Trilogia 1983-1989. Live 2013), ecco Eutòpia, il nuovissimo disco d’inediti pubblicato sul finire del 2016. Se Stato Libero di Litfiba era la rivendicazione dello spazio riconquistato nel panorama musicale dopo anni di separazioni e divisioni interne, Grande Nazione era la fotografia spietata di un’Italia che con tutte le sue contraddizioni e i suoi alti e bassi provava a resistere nonostante tutto, mentre il nuovo Eutòpia è la somma delle puntate precedenti, con in più una ventata di speranza e utopia a cui aggrapparsi in questi tempi comunque travagliati.

eutopiaEutòpia è un viaggio in dieci tappe a suon di rock e concetti urlati in faccia come sempre senza tanti giri di parole, un disco che rappresenta soprattutto la voglia di combattere per raggiungere quell’isola che per forza di cose deve esistere da qualche parte, in un mondo forse (e)utopico ma diversamente possibile e comunque perseguibile e realizzabile. La critica al potere e la speranza in un futuro migliore non saranno concetti particolarmente innovativi – lo stesso Pelù negli ultimi anni ci ha abituati a prese di posizione radicali contro l’establishment politico al governo del Paese – ma il disco risulta ben scritto e arrangiato, compatto, musicalmente in scia con quanto prodotto dalla band dopo la reunion e sa resistere pure a qualche pezzo non riuscito fino in fondo.

La partenza è a fuoco e trattandosi dei Litfiba non potrebbe essere altrimenti: Dio del tuono è la perfetta apripista per introdurre il sound del disco e tirar fuori alcuni dei concetti da sempre cari al gruppo toscano: “Nella dittatura dell’ignoranza meglio maledetti che rincoglioniti / cerco informazioni su internet, la propaganda ammazza chi fa surf”. È un Pelù che veste i panni del ribelle che non si arrende mai anche quello protagonista de L’impossibile, singolo anticipatore dell’intero disco, nel quale non a caso il vocalist si pone come una specie di Davide contro Golia nell’immaginaria lettera indirizzata ai potenti del mondo: “Lettera ai potenti della terra, padroni delle banche e della guerra / voi avete fascio e propaganda e noi vi massaggiamo con la fionda… per voi sarò come Davide con Golia… l’impossibile non c’è, perché tutto è possibile!”. Il primo vero capolavoro di Eutòpia arriva però alla terza traccia: Maria coraggio è una ballatona in stile Litfiba dedicata a Lea Garofalo, donna calabrese che ha pagato con la vita la scelta di opporsi alla prepotenza della famiglia ‘ndranghetista di cui faceva parte; il brano affronta insieme il tema del coraggio ma soprattutto quello della legalità e della lotta contro tutte le mafie, da sempre caro a Pelù e ai Litfiba già dai tempi di Terremoto, che qui trova la giusta sintesi tra testo, voce e riff di chitarra magistralmente suonati da Ghigo.

Santi di periferia è un altro pezzo tirato, che sta dalla parte di tutti gli ultimi “sbandati, stonati, rintanati, affamati… e dimenticati”, un pezzo che invoca il riscatto per tutti in un paese dove “c’è acqua anche su Marte, ma non c’è a casa mia / la mafia è già alle porte, noi siamo i santi di periferia!”. Decisamente meno riuscita (fin dal titolo) la successiva Gorilla go, un brano troppo di maniera e più vicino allo stile del Pelù solista che dei Litfiba, nonostante affronti il tema della manipolazione dell’informazione televisiva, altro cavallo di battaglia della band: “Pilotare il mondo è fare manipolazione / con esperimenti dove la cavia sei tu / che blocchi la tua mente dentro ad una televisione… telebalilla, che brilla”. Tinte più dark tendenti al goth-metal – così l’ha definita Ghigo in tante interviste! – per uno degli episodi più forti e tristemente attuali dell’intero disco: In nome di Dio, prendendo spunto dalla strage terroristica del Bataclan di Parigi, muove una critica spietata contro tutti i fondamentalismi e gli estremismi religiosi che spingono i propri “fedeli” a spargere sangue in nome di “un dio che se ne fotte”: “Talebani in festa che bombardano la storia / bimbi kamikaze sull’altare del potere / e nuove crociate per spacciar democrazia / fatta di bombardamenti e puzza di petrolio… crociati e talebani, il sangue nelle mani…”.

litfibaSi torna a ritmi più pacati con Straniero, ballad scelta come secondo singolo dell’album che parla della difficoltà di sentirsi a proprio agio nella vita quotidiana e in certi ambienti di lavoro: “Son straniero ovunque io vada, son straniero anche a casa, ma tu chi sei? / La mia normalità è diversa, chi decide cos’è la bellezza… e apro le ali… e sono in bilico… straniero… e sono il nemico… straniero…”. Intossicato invece riprende un antico motto dei pellerossa americani, già citato da Piero Pelù in tante occasioni dal vivo e qui ripreso per dar forma a un testo che mette in guardia sull’omologazione in atto da tempo: “Io penso sempre all’ultimo degli indiani / quando saremo tutti confinati / io penso sempre all’ultimo dei figli / quando saremo tutti sfruttati e poi buttati… / Ci vogliono intossicati, prova tu a distinguere il bene dal male e il male dal bene / gli piacerai intossicato, lobotomizzato… intossicato, avvelenato… ma sempre vivo!”. Se Straniero in qualche modo poteva far pensare anche alla questione dei migranti e di chi fugge da un luogo di morte alla ricerca della vita, Oltre parla direttamente di confini da oltrepassare e di frontiere da superare: “Oltre la notte, oltre queste porte / oltre la paura c’è lotta e fortuna / oltre le sbarre, oltre tutti i muri / oltre la frontiera c’è un’altra primavera… oltre sai che c’è… la cosa che fa nascere ogni cosa…”.

A chiudere questo disco smaccatamente rock e provocatorio ci pensa Eutòpia, il brano forse più atipico rispetto agli standard dell’album, non a caso scelto per intitolare tutto il nuovo progetto; su un arpeggio molto bello di chitarra si dipana un testo che finalmente spiega cosa sia questa benedetta Eutòpia: “Eutopia è l’isola che c’è per chi la cerca e non si arrende mai / esseri umani tra gli umani, fatti di gioia e fantasia / accoglienza e bassa disparità, nasce il sole a Eutòpia… / Un altro mondo è possibile, dove il lavoro non è più un ricatto / piste ciclabili e rifiuti zero, a Eutòpia non è utopia / voglio un paese dove la realtà di ogni cosa sia come appare / dove chi merita vincerà, ecco Eutòpia, Eutòpia… / Se Eutòpia è un sogno io voglio continuare a sognare / se Eutòpia è lotta io voglio continuare a lottare…”. Un crescendo musicale condito da un assolo finale del buon Ghigo Renzulli porta il brano a brillare di luce propria, permettendosi una coda musicale che richiama addirittura certe atmosfere vicine al rock prog degli anni ’70.

Con il sound di Eutòpia si conclude un disco tutto sommato onesto, godibile e consigliato specialmente a chi ha amato i Litfiba degli anni ’90, quelli impegnati e che magari, pur peccando un po’ di populismo e frasi fatte, non hanno mai rinunciato a esprimere la propria opinione sulle questioni più scottanti che ci circondando. Bentornato dunque a “El Bandido Litfiba”, in attesa di rivedere Piero e Ghigo all’opera dal vivo nel tour che da marzo li porterà in giro per l’Italia a promuove la loro Eutòpia.

Matteo Manente

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