RADIO FLÂNEUR – “Tradizione e tradimento” di Niccolò Fabi.
Quando l’evoluzione è una crescita continua che non tradisce le aspettative

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Come dare un seguito discografico a quel gioiello unico e irripetibile che è stato Una somma di piccole cose, Targa Tenco 2016 e mietitore di consensi un po’ ovunque? Dopo una raccolta rivisitata per i vent’anni di carriera (Diventi Inventi 1997-2017) e il successivo annuncio di volersi defilare per un po’ di tempo dalle scene per capire quale nuova direzione musicale intraprendere, Niccolò Fabi è tornato a inizio ottobre con il nuovo album Tradizione e tradimento, anticipato da un paio di singoli – Io sono l’altro e Scotta – che già lasciavano intravvedere le altissime potenzialità del nuovo lavoro, in bilico costante fra elementi di continuità espressiva e nuovi slanci sonori.

È proprio da questa dicotomia che è nato Tradizione e tradimento, ovvero da uno scontro lento e inesorabile fra radici e nuovi orizzonti, fra passato e futuro, fra ciò che il cantautore romano è sempre stato e la voglia di sperimentare linguaggi e forme musicali per lui ancora inedite, come possono essere la musica elettronica messa a servizio della canzone d’autore e il sapiente utilizzo di lunghe code strumentali in molti dei brani in scaletta. La summa di questa ricerca sono nove canzoni di una bellezza disarmante, delicate e potenti allo stesso tempo, dove oltre ai nuovi echi di elettronica e a piccole jam sessions al termine di molti brani si riconoscono fin da subito la penna e le tematiche care a quell’indagatore di anime che è diventato Niccolò Fabi in questi ultimi anni: chitarre acustiche e atmosfere minimali si fondono alla perfezione coi synth e altri strumenti elettronici sempre ben dosati e calibrati, che regalano alle canzoni dell’album nuovi sapori e una freschezza tutta da assaporare ascolto dopo ascolto.

Lo smarrimento dovuto al dover capire in quale direzione muoversi a livello artistico ma soprattutto sociale e umano (I giorni dello smarrimento), la certezza che solo muovendoci e cambiando la nostra prospettiva sulle cose potremo avere un futuro migliore (A prescindere da me), il difficile esercizio di mettersi nei panni delle persone che incontriamo giorno dopo giorno senza giudicare chi abbiamo di fronte (Io sono l’altro), la consapevolezza dell’essere artista (Scotta) e del lento ma continuo mutare del mondo a livello sociale (Migrazioni), personale (Amori con le ali) e ambientale (Prima della tempesta), la paura di lasciarsi andare a un nuovo sentimento troppo grande da poter ignorare (Nel blu) e la presa d’atto finale che la soluzione di tutti questi dilemmi sta nel bilanciare per l’appunto gli elementi classici con quelli di rottura (Tradizione e tradimento): il nuovo album di Niccolò Fabi è un caleidoscopio contenente tutte queste emozioni e questi sentimenti umani.

L’album si apre sulle note ipnotiche e circolari di un pianoforte, che richiamano con forza quelle conclusive di Vince chi molla, come a stabilire un ponte ideale fra l’ultima traccia di Una somma di piccole cose e la prima del nuovo Tradizione e tradimento, a dimostrazione del fatto che non per niente si parla di cose che restano e altre nuove che arrivano. Dopo l’intro pianistica, la voce di Fabi irrompe con delicatezza e inizia a cantare e a regalare poesia come se piovesse: Scotta è “la potenza dell’eterno dentro al quotidiano”, un brano che dice tutto quel che deve dire in due strofe senza bisogno di un ritornello, per poi scivolare verso una lunga coda strumentale che la fa lievitare ed esplodere verso lande musicali tanto care ai Sigur Ròs: “Scotta una penna quando scrive l’imprevisto, quando scopre quello che è nascosto, quando non si gira dall’altra parte, l’arte non è una posa, ma resistenza alla mano che ti affoga…”.

Apparentemente più classico è il successivo A prescindere da me, brano con un testo formidabile e un arrangiamento già più affine allo stile del cantautore romano; una canzone che invita al movimento continuo come arma per non cedere al piattume circostante (“Tu muoviti per sempre pigramente, si muore nel rigore, nel movimento assente, nel pensiero senza amore ed io è di questo che ho paura, perché quando mi fermo è arrivata la mio ora…”) e ad avere fiducia nonostante tutto il male o le negatività che incontriamo nella vita (“Non è finita, non è finita, può sembrare ma la vita non è finita, basta avere una memoria ed una prospettiva a prescindere dal tempo, a prescindere da tutto, a prescindere da me…”), un incitamento che da personale diventa canto collettivo (“Chi tace non è vero che acconsente, solamente che il rifiuto non sempre trova le parole, anche io modestamente non capisco ma resisto e ammutolisco dal disgusto… Comandanti fateci il piacere, se prendete decisioni decisive sulle nostre vite fatelo soltanto nel momento successivo a un vostro orgasmo: grazie a quell’attimo di pace avremo un mondo senza rabbia, un mondo senza guerra…”).

Importanti novità musicali permeano invece Amori con le ali, forse il brano più sperimentale del disco, che racconta la necessità e l’urgenza di muoversi comune a tutti gli uomini, a tutte le latitudini e con qualsiasi mezzo a disposizione: treni, biciclette, torpedoni, zattere, gommoni, pattini, tricicli, paracaduti e tanto altro ancora, l’importante è non star fermi, poiché il movimento implica allontanarsi da qualcosa, ma allo stesso tempo anche avvicinarsi a qualcos’altro (“Grazie a chi mi ha regalato un movimento allontanandomi da qualcosa e avvicinandomi a qualcos’altro, avvicinandomi a qualcuno e allontanandomi da qualcun altro…).

Io sono l’altro è stato il singolo apripista di tutto l’album e già dall’essenzialità del relativo videoclip si è capito quanto contassero le parole del testo rispetto al comunque ottimo arrangiamento musicale. Prima di giudicare il cosiddetto “altro” è necessario mettersi nei panni di chi abbiamo di fronte (“Quelli che vedi sono solo i miei vestiti, adesso vacci a fare un giro e poi mi dici…”), perché proprio noi potremmo essere oppure avere bisogno un giorno della persona che stiamo stigmatizzando: ciascuno di noi potrebbe essere “quello che spaventa, quello che ti dorme nella stanza accanto, quello che fa il lavoro sporco al tuo posto”, così come “il marito della donna di cui ti sei innamorato, quello che hanno assunto quando ti hanno licenziato, quello che dorme sui cartoni alla stazione, il nero sul barcone”, “quello che il tuo stesso mare lo vede dalla riva opposta” oppure ancora “il chirurgo che ti opera domani, il donatore che aspettavi per il tuo trapianto, il padre del bambino handicappato che sta in classe con tuo figlio o il direttore della banca dove hai domandato in fido…”.

Personale e politico, come si diceva un tempo, si fondono tra i versi de I giorni dello smarrimento, un sentimento che nasce proprio quando smettiamo di muoverci (quasi per antitesi a quanto detto in Amori con le ali e A prescindere da me) e che si avverte compiutamente sia in ambito privato (“Sono i giorni dello smarrimento, dell’amore che non si inventa, i giorni senza destinazione e senza un movimento… i gironi senza desideri, degli occhi chiusi contro il sole in attesa di un barlume, quando non senti più il calore e il vuoto ti assale…”), sia a livello sociale (“Sono i giorni del vagabondo, di un mondo brutto e chiuso a riccio, cittadino di un bel niente, straniero dappertutto, del pacifico e determinato esercizio del dissenso, i giorni in cui capirsi è complicato, i giorni fuori tempo…”). In questi giorni complicati, “dov’è la stella per tornare? Dov’è la stella da seguire?”: domande che rimangono tali e alle quali ciascuno può dare una risposta diversa… ciò che conta, secondo Fabi, “è amare quello che ho intorno e sentire in faccia il vento…”.

Nel blu sta a Tradizione e tradimento come Una mano sugli occhi stava a Una somma di piccole cose: l’unica canzone d’amore del disco è forse una delle più profonde ed emozionanti all’interno del nuovo album e racconta quel misto di paura e voglia di lasciarsi andare che si prova ogni volta che usciti da una relazione ci si apre ad una nuova. Due persone uscite a pezzi da una precedente storia (“Tu arrivavi dalla fine di una guerra, io ero scivolato dal mio piedistallo, un’assemblea di cocci a conversar di vasi, due cani col guinzaglio alla ricerca di un padrone…”) si ritrovano sugli scogli a scrutare il blu del mare davanti a loro (“E’ stato come in un appuntamento, su uno scoglio prima del tramonto, sembrava che io guardassi solo a largo, ma ti ho sentita arrivarmi accanto…”) e lentamente si lasciano andare ai sentimenti che provano per davvero (“Guardandoci negli occhi entrambi sapevamo che alla fine qualcuno pagherà per il male che ci ha fatto qualcun altro…”), finché trovano il coraggio per fare quel tuffo metaforico nel blu del mare che simboleggia la vita che avranno da vivere insieme (“Così ci siamo alzati contro il vento e in pochi passi eravamo fino al bordo, con il coraggio che da soli non avremmo mai trovato tu mi hai sorriso e io ho sentito di esser pronto… tu avevi paura, io forse un po’ di più, ma l’attimo dopo in un salto noi eravamo insieme nel blu…”).

Si parla tanto di ambiente e della necessità di tutelarlo in qualsiasi modo, per evitare catastrofi sempre più imminenti e mutamenti climatici dai danni irreversibili: Niccolò Fabi, insieme a Daniele Silvestri e Max Gazzé, aveva già toccato l’argomento qualche anno fa con Il padrone della festa (“E il sasso su cui poggia il nostro culo è il padrone della festa…”), ma qui torna a ribadire il monito con Prima della tempesta: “Torneranno gli animali ad occupare il loro posto e gli umani nelle grotte a disegnare sopra i muri… Finiranno i tempi accesi degli onori ad ogni costo, degli allori sbandierati a sfregio in faccia agli indifesi e i mercanti com’è giusto affogheranno in un pantano di acqua, truffe ed oro fuso dalla loro stessa mano… e così sia, disse l’uomo alla finestra guardando il cielo prima della tempesta, non c’è storia, non mi provocare, disse il mare prima della tempesta…”.

Il concetto di movimento e la relativa necessità di farlo per sopravvivere come esseri umani è uno dei cardini di tutto Tradizione e tradimento, quindi non sorprende che dopo Amori con le ali e A prescindere da me torni anche nella bellissima Migrazioni: lontana da facili manipolazioni legate all’attualità politica, la canzone dice che muoversi è un’azione antica che si tramanda dalla notte dei tempi e che proseguirà nel tempo a venire: “Non siamo certo i primi perché accade da millenni, dalla notte verso il giorno, dal freddo verso il caldo, per il cibo e per la pace, per i figli, per la specie… è tutto qui…”.

A concludere il nuovo racconto musicale di Niccolò Fabi, come in un’ideale chiusura del cerchio aperto con Scotta, ecco Tradizione e tradimento, che oltre a dare il titolo all’album riassume in un paio di strofe il senso di tutto il disco: quando si tratta di scegliere o di decidere, in qualsiasi ambito della vita, non è mai facile capire cosa tenere del proprio bagaglio di esperienze e cosa lasciare indietro per aprirsi al nuovo che verrà. “Se potessi fare a meno di decidere non sarei di certo così stanco, ogni volta è una conquista riconoscere quale sia la mia metà del campo”, esordisce Fabi, che poi prosegue: “Certe volte le ambizioni si confondono ed il nuovo non è sempre il meglio, cosa conservare e cosa cedere, dopo ogni scelta arriva il conto… guardo fisso avanti il filo e sono in bilico nelle insidie di ogni cambiamento, tra le forze che da sempre mi dividono: tradizione e tradimento…”.

Guardare avanti ma sempre con un occhio al percorso che si è fatto per arrivare nel punto nel quale ci si trova: Niccolò Fabi con il suo Tradizione e tradimento segna un ritorno sulle scene coi fiocchi, di quelli che rimarranno nel tempo, incidendo un disco che per tutte le nove tracce resta brillantemente in bilico fra passato e futuro, fra radici e nuovi orizzonti, fra certezze consolidate e nuovi esperimenti musicali che guardano al futuro; nel centro un moto continuo che porta in seno un processo evolutivo che per il cantautore romano non sembra conoscere sosta, ma soprattutto una crescita artistica strabiliante e mirata sempre più verso l’alto. “È tutto qui”, citando il verso finale di Migrazioni: Tradizione e tradimento è senza dubbio il miglior disco italiano dell’anno… per tutti gli altri pretendenti, ritentare l’anno prossimo!

Matteo Manente

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