RADIO FLÂNEUR – “Viaggio senza vento” dei Timoria. Venticinque anni dopo restano intatti i sogni di Joe e della “generazione senza vento”

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C’è stato un momento, all’inizio degli anni Novanta, in cui anche l’Italia è sembrata essere un paese ad alto potenziale rock: tra nuovi rocker piuttosto ispirati come Ligabue e Massimo Priviero, rockstar già affermate e all’apice della loro popolarità come Vasco Rossi o i Litfiba del duo Pelù-Renzulli e altri in bilico fra scena indie e primi accenni di notorietà (Gang, Afterhours, Negrita, Timoria, Marlene Kuntz, CSI e molti altri ancora), gli anni Novanta hanno segnato una stagione davvero particolare e per certi versi irripetibile per la scena rock italiana, un periodo in cui sembrava finalmente possibile – e soprattutto credibile! – fare rock con testi in italiano. Tanto per fare un esempio, solo in Italia nel 1993 uscirono nell’arco di pochi mesi Gli spari sopra di Vasco, Sopravvissuti e sopravviventi di Ligabue, Terremoto dei Litfiba e Storie d’Italia dei Gang, mentre tra le band che dovevano ancora fare il fatidico salto di qualità c’erano i Timoria, che proprio in quell’anno di grazia realizzarono Viaggio senza vento, rimasto negli anni il loro capolavoro indiscusso.

La band bresciana – capitanata dal chitarrista Omar Pedrini e composta oltre che dall’inconfondibile vocalist Francesco Renga da eccelsi musicisti quali Diego Galeri alla batteria, Carlo Alberto “Illorca” Pellegrini al basso e Enrico Ghedi alle tastiere – nel ’93 aveva già alle spalle tre dischi: Colori che esplodono del 1990, Ritmo e dolore del 1991 e Storie per sopravvivere del 1992 erano tutti dei buoni dischi, ma non erano riusciti a graffiare e lasciare il segno come avrebbero voluto i loro autori. Probabilmente la band bresciana doveva ancora affinare meglio il proprio potenziale, forse l’avvento del grunge oltreoceano sulle note incazzate di Soundgarden, Pearl Jam e Nirvana diede un impulso creativo nuovo a Pedrini e soci, fatto sta i Timoria nel 1993 sfornarono un concept rock a tutti gli effetti, che equivalse al salto di qualità che mancava e al raggiungimento definitivo della loro maturità artistica.

Viaggio senza vento è uno dei migliori dischi rock italiani, senza dubbio un manifesto per i ragazzi di quell’epoca (non a caso definiti come la “generazione senza vento”), oltre che un disco perfetto sotto tutti i punti di vista anche a venticinque anni di distanza. Si tratta un’opera rock che, come si usava fare nei gloriosi anni ’70 (e non è affatto un caso che Omar Pedrini sia un fan sfegatato della musica di quel periodo e di gruppi come The Who, che proprio dei concept album fecero una loro bandiera stilistica), racconta dalla prima all’ultima traccia la storia di un personaggio e delle sue (dis)avventure; nello specifico dei Timoria e di Viaggio senza vento, il protagonista della vicenda è Joe (altro rimando e insieme tributo a Hendrix e alla sua Hey Joe), un ragazzo tossicodipendente allo sbando che attraverso una serie di eventi, incontri, sogni e visioni, intraprende un viaggio dentro e fuori di sé fino al riscatto e alla rinascita finale.

Il disco si apre con il furioso hard-rock di Senza vento, canzone-manifesto dei Timoria e inno generazionale di molti adolescenti nati e cresciuti a cavallo tra fine anni ’80 e primi anni ’90, che si identificarono subito in quelle parole che descrivevano esattamente il loro disagio e i loro sogni: “Nato qui, vivo e non credo in niente, credo in niente… Mi dici che voi trent’anni fa fermaste un po’ il mondo, mi dicono che vent’anni fa era tutto diverso… ma son pronto per volare senza vento…”.

Come in una storia che si svela capitolo dopo capitolo, subito dopo tocca a Joe, una sorta di carta d’identità del protagonista di tutto Viaggio senza vento da cui si apprende della sua solitudine e dei problemi legati alla tossicodipendenza; poco più di un minuto per tratteggiare lo status di Joe che arriva la prima ballata dell’album, la splendida Sangue impazzito: passando per i luoghi della sua infanzia (“Uomini, domenica, gente che allegra va, risveglia la città, dormono le fabbriche…”), Joe si interroga sul perché abbia abbandonato quella vita per infilarsi nel pericoloso tunnel della droga: “Corro via ma non so se fuggire o rincorrere qualcosa, forse chi… Sono qui e dentro me sangue impazzito che mi spinge fino a voi… Correte di più sognando un futuro così, vi guardo da qui e penso che un tempo quel campo era mio e mi chiedo perché un giorno ho detto addio…”. Le chitarre acustiche iniziali lasciano spazio alla voce potente di Renga e a un assolo finale di chitarra elettrica che porta tutta la canzone, Pedrini e i Timoria a toccare vette altissime e ad entrare di diritto tra le rock band italiane più importanti di sempre.

Dopo aver girovagato tutta la notte per i posti di sempre, nella successiva Lasciami in down Joe viene arrestato assieme e portato a forza in un centro di disintossicazione: “Ma quante sirene, fuggire in fretta… l’accalappia cani sai non perdona, lo vedrai, con le bestie nel canile sarai pronto a confessare…”; tuttavia La cura giusta dell’omonima canzone non esiste e tantomeno, dicono i Timoria con Il guardiano di cani, può essere quella delle guardie che obbligano il ragazzo ad obbedire come un cane ai loro ordini: “Primo non devi contraddirlo mai, due non devi mai disubbidire, terzo ricorda che ha sempre ragione, quarto di te sarà sempre migliore, quinto vince lui…”. La storia di Joe prosegue a tutto rock ed ecco una prima svolta: trovata una pistola con tre colpi, uccide il guardiano e ritrova la libertà: “Hai tre colpi d’oro, la libertà… hai tre colpi d’oro, lontano andrai… Fuggi via, scappa via, ora scappa dalla loro falsità… Fuggi via, scappa via, ora burattini senza dignità…”. Adesso La fuga è iniziata, ma Joe sa che dovrà correr via in fretta e scappare lontano per mettersi in salvo, magari andando proprio Verso Oriente: “E vado via, vado via, prendo il largo, nessuno mi sentirà… Vado via e insieme a me, verso oriente c’è il sole che nasce là…”. Con questo brano, cantato da Pedrini, impreziosito dalla seconda voce di Eugenio Finardi e dalle percussioni di Candelo Cabezas (Litfiba), inizia il vero e proprio viaggio di Joe.

Prima tappa del nuovo cammino è abbandonare la natìa Lombardia, con un brano quasi folk arricchito dal violino di Mauro Pagani e uno stacco quasi jazzistico delineato in Campo dei Fiori Jazz Band. Il senso di libertà che respira il protagonista in questo suo viaggio disperato è ben rappresentato da Freedom, brano essenziale per piano e voce in cui emergono tutte la potenzialità espressive di Francesco Renga. Passo dopo passo, Joe incontra anche un veggente – Il mercante dei sogni – che gli fa capire e comprendere le proprie visioni e i propri sogni: “Avrai una forza nuova, nuove realtà, avrai il Rifugio, il Ponte, la Maschera… volando in alto due serpenti vedrai che il bene e il male son la stessa realtà… perdonare quello che sai per la pace che ora non c’è, per donarti a chi vive, per dimostrare ma che cosa chissà…”. Grazie a questo incontro, Joe può proseguire il suo viaggio arrivando ne La città del sole, simbolo utopico della perfezione in cui può finalmente ritrovare se stesso e che raggiunge soltanto dopo aver oltrepassato un ponte: “Sai che tutto era scritto, felice di lasciare l’uomo, il sistema, la società… se qualcuno aiuterà lo straniero troverà la sua città, la città del sole…”. Un rock solare e melodico che fa da controcanto a La città della guerra, un intermezzo musicale molto cupo che precede un altro passaggio fondamentale della storia di Joe: Piove. La pioggia come elemento metaforico di purificazione, di pulizia e di rigenerazione dell’anima è alla base di un altro brano energico, con un ritornello che resta in testa dopo il primo ascolto e che rende tutto il brano molto godibile al di là del filo narrativo da seguire: “Mentre piove, piove son felice perché lava queste strade, entra dentro di me…”. Se il viaggio fisico di Joe è quasi finito, con Il sogno prosegue quello interiore e più personale, che lo porta nella successiva Come serpenti in amore a comprendere e scegliere da che parte stare nell’eterna lotta tra il bene e il male, raffigurati qui come due serpenti avviluppati fra loro e difficili da separare: “Il bene e il male vivono dentro di te, la notte e il giorno, il fuoco la cenere… Ora ti voglio, sei dolce latte o sei fiele, quando ti prendo sei il sole e la grandine… Siamo qui come serpenti in amore, tu vedrai il mare erompere in fiore, siamo qui come serpenti in amore e così l’ odio nasconde l’amore…”. In tutto il suo viaggiare, a Joe manca però ancora un elemento prima di ritenersi soddisfatto e pronto a tornare: l’amore. Così ecco La città di Eva, in cui il protagonista si innamora di una donna bellissima e affascinante, con la quale trova una propria stabilità: “Vai, segui la strada, c’è una donna bellissima qui in cerca d’amore come te, degna di te… Dove vai, dove vai uomo del mondo? Cerco chi è degno di me”. Anche la riscoperta di sé stesso è terminata e a questo punto per Joe il viaggiatore non resta che intraprendere la via del ritorno: Freiheit anticipa la conclusione vera e propria della trama narrativa architettata dai Timoria, affidata proprio a Il guerriero, un brano che sancisce la definitiva conclusione del viaggio intrapreso da Joe venti tracce prima. “Il guerriero è vivo ed è tornato con lo sguardo fiero e gli occhi lucidi”, canta Renga: adesso, alla fine del suo viaggio senza vento, Joe può tornare a combattere come un guerriero nella vita di tutti i giorni, contando su una nuova forza interiore e una consapevolezza di sé stesso che prima non aveva mai immaginato di avere: “Puoi trovare la voglia, posso darti la forza, un guerriero sa imparare ad amare il suo dolore, puoi varcare la soglia se vuoi… Il guerriero è tornato e sa dare un senso a giorni inutili, alla fine del suo viaggio hai aperto la tua mente, ora puoi tornare, ora è dentro te…”.

Viaggio senza vento è tutto qui, ma essere uno dei dischi più importanti degli anni ’90 e di buona parte del rock italiano più recente non è affatto poco: per molti giovani cresciuti all’epoca dei Timoria è stato un disco di formazione, più che di musica rock; per chi è venuto dopo o li ha scoperti troppo tardi, viene ristampato proprio in questi giorni in occasione del 25° anniversario dalla sua pubblicazione in versione doppio cd, doppio vinile o boxset deluxe edition con doppio cd, doppio vinile giallo, poster e book fotografico inedito. Oltre al disco rimasterizzato dai nastri originali, la ristampa in doppio cd comprende un secondo disco con 11 demo dei brani di Viaggio senza vento, la cover di I can’t explain degli Who e soprattutto l’inedito Angel, registrato durante le sessions del 1993 ma completato solo l’anno dopo in seguito alla morte di Kurt Cobain, evento a cui Pedrini si ispirò per completare il testo del brano. Una ristampa importante per un disco altrettanto fondamentale, un’operazione che fa bene al cuore e che riaccende le luci su quello che è stato – e che chissà mai che non possa ritornare a essere – un certo modo di fare rock in Italia: “vent’anni fa era tutto diverso” – cantavano i Timoria – ma ieri come oggi l’importante è esser pronti ancora una volta a riprendere il cammino e “volare senza vento”.

Matteo Manente

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