“From Medea”: una tragedia al femminile, sul pedaggio della tristezza.
La recensione del primo spettacolo del Festival di Merate

0

MERATE – «Stupisce quanto possa essere ostinato e resistente il cuore di una donna». Di donne parla lo spettacolo che sabato 12 ottobre ha aperto la quarta edizione del Festival Nazionale di Teatro – Città di Merate, e a parlare, sul palco, sono quattro donne. Intitolata From Medea, dall’omonimo libro di Grazia Verasani, la rappresentazione della Compagnia Incontri di Portici (Napoli) mette in scena la tragedia quotidiana del dolore e della colpa per un atto scellerato. Quattro donne dentro una cella parlano, si raccontano, urlano, si sfidano, si compatiscono; il tema è sempre lo stesso: l’infanticidio.

«Quando ammazzi un figlio, i morti sono due»: le parole di Vincenza, una delle quattro protagoniste femminili. Uno spettacolo che inizia ancor prima dell’inizio: le attrici sono già sopra il palcoscenico e, appena mette piede in sala, lo spettatore è portato dentro la scena.

Foto @ Michele Masullo

Due letti a castello, una finestra semi aperta, un tavolo, un armadietto, una scopa e una paletta. Una porta aperta. Sulla destra, una donna davanti a una culla, in una cameretta di bambino. La scenografia è accurata e, nella sua essenzialità, dà immediatamente l’idea dello spazio: lo spettacolo è ambientato in un carcere “correttivo” femminile. 

Chi è la quinta donna fuori dal carcere, in vestaglia, nella camera di un neonato? Una donna silenziosa, che non parla ma esprime esasperazione e impotenza mentre culla il suo bambino e cerca di farlo smettere di piangere, invano. Lo spettatore capirà che questa donna fa da contraltare alle quattro prigioniere: per lei c’è ancora speranza.

Un testo, quello della Verasani, che delinea il dramma della maternità spezzata, che serpeggia tra parole che alludono e non dicono. Il cuore del discorso è un grande non detto, impronunciabile, che proprio per questo si materializza come un macigno.

Tanti sono le tematiche toccate: il tema della morte e della malinconia; del ricordo, del dolore, dell’amore e della mancanza; il tema di Dio e della giustizia; quello della stanchezza, della pazzia, della resistenza. Tante le domande che si susseguono e che restano sospese nel vuoto: «Perché si vuole un figlio?» «Dove ero io?» «Basta il sangue a decidere il legame?» «Perché devo vivere con questi ricordi? Perché non posso crearmene di nuovi?» «Non ho il diritto di essere amata?».

Mettere al mondo un figlio non è soltanto un atto d’amore, ma un gesto da cui trarre amore.

“Non esiste roccia che un giorno non si sbricioli”, così scrive ancora Vincenza nelle pagine del suo diario. E quali sono i motivi per cui una donna è spinta a un gesto così tragico? From Medea è uno spettacolo di denuncia sociale, che, attraverso le voci delle quattro protagoniste, porta in scena alcuni interrogativi forti: è davvero tutto spiegabile con la razionalità? Come si spiegano la follia, il raptus, la depressione, il male di vivere?

Foto @ Michele Masullo

Queste quattro donne, caratterizzate in modo diverso, trascorrono le loro giornate mitigando il dolore con la musica e i libri, espiando una condanna che è soprattutto interiore: il senso di colpa per un gesto che ha distrutto le loro esistenze e che le costringe ogni giorno a pagare «il pedaggio della tristezza».

Composto di tante piccole scene legate tra loro più dalle parole che dalle azioni, più dai ricordi di ciascuna protagonista che da una vera e propria trama, lo spettacolo – per la regia di Ramona di Martino – riserva un finale emotivamente carico, che arriva allo spettatore tanto più violento quanto più inatteso.

Claudia Farina

Share.

L'autore di questo articolo

Claudia Farina

È la più piccola dei flâneurs, con una chioma ribelle e un sacco di sogni. Fin da bambina innamorata del racconto e delle parole, saltella tra una storia e l’altra, tra la pagina e la vita. Laureata in Lettere Moderne, è alla ricerca costante di nuove ispirazioni e di luoghi dove imparare. La tesi sulla narrazione nella musica di Wagner è stata un colpo di testa (e un colpo di fulmine!). Suona il clarinetto da (un po’ meno di) sempre, ama la musica, l’amicizia quella vera, la natura, lo stupore e la Bolivia, che porta nel cuore. Crede negli incontri che cambiano la vita e la rendono speciale, come quello con Il Flâneur! Pensa molto (forse, troppo). Le piace viaggiare e scoprire il mondo, fuori e dentro i libri. Nella scrittura si sente a casa ed è convinta che la cultura, passione ribelle, sia davvero in grado di cambiare il mondo.