“L’Apocalisse è già in atto”: intervista a Ugo Dighero

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LECCO – Lo scorso 16 marzo ha portato sul palco del Teatro della Società di Lecco Apocalisse, spettacolo diretto da Giorgio Gallione e tratto dai racconti Lo zoologo e Sei il mio tesoro di Niccolò Ammaniti. Si tratta di Ugo Dighero, attore che abbiamo incontrato proprio in occasione della data lecchese. Un’intervista in cui l’attore genovese ci parla, tra le altre cose, del teatro e del successo, della sua carriera e del ruolo della cultura, dei progetti futuri e dell’Apocalisse che, in realtà, stiamo già vivendo.

Un mondo che sta progressivamente perdendo i valori, l’umanità e la speranza. In “Apocalisse” si può dire che questi aspetti vengano trattati con un velo di necessaria ironia?

Ammaniti ci racconta sempre un mondo in profonda crisi, con personaggi estremi e disperati. Questo scenario è totalmente aderente alla realtà che abbiamo davanti. In Apocalisse lui immagina uno scrittore che sente la fine vicina e ha dolori dappertutto. Tenta di mettere al sicuro i suoi racconti salvati sul computer, perché teme che l’Apocalisse li cancelli e questi testi vengono rappresentati in scena con la tecnica dell’azione popolare: l’attore crea spazi e personaggi. In maniera molto divertente guardiamo un mondo di mostri speculare a ciò che vediamo al telegiornale, dove personaggi reali mentono costantemente. La gente non si rende conto che la direzione che stiamo prendendo è proprio rivolta all’Apocalisse.

Dighero-Apocalisse-3La regia è di Giorgio Gallione, con cui ha lavorato tantissimo sin dagli inizi della carriera. È cambiato qualcosa rispetto alle precedenti collaborazioni nel vostro approccio concettuale e pratico per questo lavoro?

Giorgio lavora da sempre prendendo testi esclusivamente letterari, cercando di trovare al loro interno le valenze teatrali per provare a estrapolare una storia che abbia il suo legame con il palcoscenico. Nei testi di Ammaniti c’è un potenziale teatrale incredibile e quindi abbiamo cominciato selezionando i racconti, li abbiamo letti e abbiamo cercato di mantenere le parti adatte al teatro. Poi, con grande intesa, abbiamo montato lo spettacolo sul palcoscenico. Ci conosciamo e lavoriamo insieme da decenni e per me è una vacanza lavorare con lui, è sempre molto divertente.

Siete stati influenzati da altre forme d’arte, come ad esempio il cinema?

Ammaniti fa continuamente riferimenti al cinema nei suoi testi, con citazioni al mondo dello spettacolo. In uno dei due racconti c’è un’attrice che si sottopone a una mastoplastica additiva e da quel momento diventa la star della fiction italiana. Una situazione paradossale ma molto realistica.

Secondo lei in Italia è più difficile affrontare tematiche delicate e serie come quelle raccontate in “Apocalisse” attraverso quel registro satirico, umoristico e ironico che voi utilizzate in questo spettacolo?

L’ultima soluzione rimasta per scuotere le persone è il taglio comico, grottesco, l’iperbole. È una tecnica che riesce a trasmettere dei messaggi passando attraverso dei canali che non sono quelli del giudizio razionale e del preconcetto. Si passa direttamente dalla panza, per così dire. Il problema del grottesco è che in Italia non è più compreso, perché grottesca è la vita reale. Nel momento in cui non ci si rende conto del paradosso è difficile parlare con le persone, perché accadono avvenimenti sciagurati percepiti come fatti assolutamente normali. Siamo in un momento molto complesso: anche la satira e l’ironia sociale e politica è stata spazzata via, a parte il mio amico Crozza. Tutto è sgradito e vietato.

broncovizQuanto è stata importante l’avventura con il gruppo teatrale dei Broncoviz (insieme a Maurizio Crozza, Carla Signoris, Marcello Cesena e Mauro Pirovano) per la sua carriera?

È stata fondamentale perché abbiamo iniziato a lavorare insieme con il Teatro dell’Archivolto e durante cinque/sei anni di lavoro congiunto abbiamo avuto modo di sviluppare una grammatica comune. Eravamo giovani grintosi e con voglia di fare. A questi ingredienti abbiamo aggiunto il nostro stile personale e un percorso legato a progetti a lungo termine. Tutto questo ti permette di avere una crescita artistica più significativa. Siamo stati insieme praticamente dieci anni e con il successo televisivo ci siamo immediatamente sciolti perché ognuno aveva altre aspirazioni. Ma il lavoro con il gruppo è stata un’esperienza importantissima.

Il suo passaggio in tv è stato contraddistinto dal legame con la Gialappa’s…

Si, la Gialappa’s è stato un altro volano incredibile. È stato molto stimolante lavorare insieme, al di là della loro simpatia. Dal punto di vista creativo è stato uno stimolo continuo per creare testi, personaggi e sequenze divertenti.

Lei è conosciuto per il ruolo di Giulio in “Un medico in famiglia” e la percezione delle persone verso gli attori che nel frattempo sviluppano i loro progetti teatrali allontanandosi dal grande o piccolo schermo è spesso assimilabile a una sorta di “scomparsa artistica”. Lei riesce a vivere con equilibrio questa percezione?

La gente associa istintivamente gli attori alle star del cinema. Tuttavia il mestiere dell’attore è ben altra cosa, sono pochissimi quelli che riescono a ottenere un successo di tale portata. La tv è uno strumento fantastico per aumentare la popolarità, che in questo lavoro può aiutare, ma viviamo in una società in cui il bisogno di avere successo è devastante. Questo è pericoloso per i ragazzi che entrano nel mondo dello spettacolo, perché non hanno equilibrio e quando vengono investiti dalla notorietà e da compensi elevati spesso non riescono a gestire la situazione e scompaiono perché il loro rimane un exploit effimero, senza una preparazione alle spalle. Non è scontato che la fama televisiva si traduca automaticamente in un teatro pieno. In Italia sono pochissimi gli attori che grazie al successo televisivo o cinematografico riescono a riempire le platee. Penso a Favino o allo stesso Crozza.

digheroInfluisce anche la poca considerazione che si ha della cultura?

Ci hanno spiegato che di cultura non si vive e il momento è davvero catastrofico e ha scavato un solco profondo. Purtroppo è difficile vedere qualche spettatore under 40 in platea, anche nei grandi teatri. In Italia non abbiamo la tradizione dei giovani britannici, che usano il teatro dal punto di vista autoriale per raccontare i loro problemi e la loro voglia di riscatto. Purtroppo non è avvertito come uno strumento d’espressione straordinario.

Riccardo Garrone è scomparso recentemente e lei ha avuto il piacere di lavorare insieme a lui. Vuole ricordarlo in qualche modo?

Mi è spiaciuto molto. Era una persona divertente e molto ironica. Sul set aveva sempre la battuta pronta e ci punzecchiava in maniera molto simpatica, con un finto cinismo disarmante perché Riccardo era una persona buonissima. Ha avuto una carriera incredibile e irripetibile.

Ci sono progetti in cantiere oltre l’Apocalisse?

In questo momento con un chitarrista di Imperia, Christian Lavernier, sto preparando Platero y yo, scritto da Juan Ramon Jimenez, premio Nobel per la letteratura. Alcuni di questi racconti sono stati musicati da un musicista italiano, Castelnuovo Tedesco, padre artistico del leggendario compositore John Williams. Tedesco si trasferì a Hollywood nell’epoca d’oro del cinema, componendo musiche per molti film e tra i suoi allievi c’era proprio John Williams. Lavoriamo a un melologo, un insieme di musica e testi senza la musica di sottofondo e senza le parole. Queste ultime sono fissate sullo spartito, in punti molto precisi, come se la storia fosse cantata. È un lavoro complesso da montare ma molto appassionante. Inoltre ho altri due progetti teatrali di cui per ora non posso parlare.

Ugo Dighero crede che andremo davvero verso l’Apocalisse?

L’Apocalisse è già in atto, anche se la gente non se ne rende ancora conto, soprattutto in Italia. Stiamo vivendo all’interno di un mondo totalmente impazzito, che non riconosce e non comprende cose molto semplici perché c’è poca attenzione e un sostegno sconsiderato a personaggi improponibili. Purtroppo questa decadenza la stiamo vivendo tutti giorni.

Davide Sica

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